Alessandro Michele apre la fashion week di una caotica Milano pre-Expo. Esame passato per il nuovo direttore di Gucci, con la sua neo-nouvelle vague
Era atteso al varco dal pubblico e dalla stampa, riunitisi nello spazio Diana per la settimana della moda milanese dedicata all’universo femminile: Alessandro Michele, al vaglio di una lente critica inflessibile, supera l’esame e conferma le capacità anticipate durante le sfilate maschili. Lo show inizia non appena arriva Salma Hayek, con un basco che pare […]
Era atteso al varco dal pubblico e dalla stampa, riunitisi nello spazio Diana per la settimana della moda milanese dedicata all’universo femminile: Alessandro Michele, al vaglio di una lente critica inflessibile, supera l’esame e conferma le capacità anticipate durante le sfilate maschili.
Lo show inizia non appena arriva Salma Hayek, con un basco che pare un gesto di affetto esplicito per il nuovo direttore creativo di Gucci. E dopo quel primo momento di messa a fuoco, con le filate Uomo ai primi di febbraio, in cui ci si domandava se quelle donne – così “normali” e diverse fra loro – fossero proprio modelle in passerella, ora è chiaro che è quel senso di realtà ad aver convinto convinto tutti.
Alessandro Michele sceglie, ancora una volta, la via della verità: mostrare molte donne e qualche uomo, dal mood malinconico, incapaci di trovare una collocazione certa in un mondo illuminato da una luce fredda. La stessa ragione per cui, agli Oscar, ha convinto “Birdman” più di “Grand Hotel Budapest”: la fotografia dell’anima, con una logica da cinema indipendente, contro la rappresentazione perfetta del meccanismo artificiale dello spettacolo.
Usciti dal ciclo onirico che ci faceva dimenticare il quotidiano con boschi, cervi e fate, oggi si va in cerca, di nuovo, di storie vere. La magia resta nella scelta di una palette di colori che uniforma elementi apparentemente scollegati, nelle stampe floreali su tessuti leggerissimi o pesanti, nei ricami e nelle trasparenze, nelle pellicce come cappotti di adolescenti, nelle sovrapposizioni di plissé e nelle scarpe folli; la magia è nella capacità di realizzare a regola d’arte un’immagine pura. È per questo che quelle di Gucci sembrano figure delle vetrine natalizie Liberty, a Londra: dalle loro tasche escono matite e non tablet. Non anacronistiche ma romantiche, nel senso più poetico del termine.
C’è l’errore celebrato da quella riga sul fondo delle giacche da uomo; c’è l’eccentricità di certe giovani vicine di casa che si incrociano sul pianerottolo, con il cappotto sulla camicia da notte. E poi tante scarpe irreali e solo un modello di borsa, scelta che qualcuno potrebbe ritenere poco strategica per un brand che fattura tanto con l’accessorio. Ma è lì la provocazione necessaria, quella di un designer ed artista che ci chiede pensare.
Scelte dure, come l’ambientazione definita “da corsia ospedaliera”, con quel neon a fare da unica luce contemporanea: fredda perché non mente, organica ma acida, in contrasto con il rosso delle pareti che ricorda una scenografia di David Lynch.
E viene in mente più volte Lynch, guardando le figure che camminano nei panni di personaggi straniati, enigmatici. Come nel caso di quell’outfit totalmente nudo, fatto apposta per una protagonista audace, incosciente, allo sbando: un mix che fonde le visioni cinematografiche al rispetto per la decennale sperimentazione di Prada, e all’assoluto glamour di Yves Saint Laurent, creando una “neo-nouvelle vague”.
Una collezione anticipata nella sfilata Uomo, alcuni outfit già intravisti a Firenze, dove erano apparse le divise militari e quell’indefinibilità di genere che qui aumenta, pur lasciando visibile il femminile. La dimostrazione della forza di una squadra di giovani creativi e abilissimi artigiani, guidati da un management coraggioso. Tutti capaci di sostenere e condividere la visione di un talento, che ha anche la forza di essere con loro e come loro.
– Clara Tosi Pamphili
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