Opere rubate, distrutte, perdute. Il Museum of Stolen Art le riporta in vita. Virtualmente. Il progetto hi-tech di una studentessa americana
Il 18 marzo del 1990 si compì, a Boston, uno dei più grandi e diabolici furti del mondo dell’arte. Il “delitto” perfetto colpì l’Isabella Gardner Museum: un caso ancora irrisolto, a distanza di 25 anni. Due ladri, travestiti da agenti di polizia, con la scusa di un ordine di controllo, convinsero i guardiani a farsi […]
Il 18 marzo del 1990 si compì, a Boston, uno dei più grandi e diabolici furti del mondo dell’arte. Il “delitto” perfetto colpì l’Isabella Gardner Museum: un caso ancora irrisolto, a distanza di 25 anni. Due ladri, travestiti da agenti di polizia, con la scusa di un ordine di controllo, convinsero i guardiani a farsi aprire da un ingresso posteriore. Neutralizzati nel giro di pochi minuti, i custodi finirono nei sotterranei, legati e imbavagliati per tutta la notte. I furfanti portarono via indisturbati tredici opere, fra oggetti antichi e dipinti, per un bottino del valore di svariati milioni di dollari: c’erano, fra gli altri, tre tele di Rembrandt, tra cui la Tempesta sul mare di Galilea, del 1633, il celebre Concerto a tre di Vermeer (1658-1660), cinque disegni di Degas e il dipinto Chez Tortoni di Manet. Nessuno ha mai rintracciato i criminali, tantomeno le opere.
Un incalcolabile disastro, che ha spinto Ziv Schneider, studentessa in Interactive Telecommunication della Tisch School of the Arts di New York, a cimentarsi con un progetto d’avanguardia. Chissà come sarebbe aggirarsi tra gli spazi del museo di Boston, fermandosi a contemplare le opere ormai disperse: questa la domanda che la giovane appassionata d’arte e di tecnologia si sarà posta mille volte. Fino al punto d’inventarsi una soluzione.
Come riportato da un articolo su Wired, da qui venne l’idea di affidarsi alla realtà virtuale: la sfida? Provare a restituire l’illusione di ammirare i capolavori smarriti, nel loro contesto originale. È nato così il Museum of Stolen Art, una galleria immaginaria che riproduce esattamente le sale, i corridoi e le pareti del museo, con tutte le opere al loro posto. Indossando degli occhiali speciali e manovrando l’apposito joystick, ci si assicura un realistico tour, accompagnati persino da una guida. Prodigi della virtualità, sovvertendo l’impossibile nel suo contrario immateriale.
Ma Ziv Schneider non si è fermata qui. E sta già lavorando a una seconda ambientazione, stavolta dedicata alle migliaia di opere e manufatti iracheni ed afghani, andati distrutti o rubati negli anni della guerra con gli Usa. Il progetto è ancora in fase sperimentale, ma l’Università ha tutta l’intenzione di svilupparlo e renderlo accessibile. E il pensiero va, naturalmente, alle ultime immagini arrivate da Mosul: l’oscena rappresaglia dell’Isis contro le antiche mura di Ninive e poi contro le sculture e i bassorilievi del Museo cittadino, racconta un’altra storia di barbarie contro la cultura e la civiltà. Altri soggetti in coda, tristemente, per il futuro Museo dell’arte perduta.
– Helga Marsala
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