Pirelli parlerà cinese. Quali saranno le conseguenze sull’Hangar Bicocca? Nessuna, assicurano i vertici dell’azienda. Anzi, si potrebbe anche migliorare
La notizia è recentissima ed è la seguente: Pirelli è stata acquisita da ChemChina. Acquisizione parziale, a quanto è dato di capire – il sistema di scatole cinesi, è il caso di dirlo, è quantomai complesso –, ma che di fatto fa cambiare bandiera all’azienda milanese. E questo anche se Marco Trochetti Provera resterà l’AD […]
La notizia è recentissima ed è la seguente: Pirelli è stata acquisita da ChemChina. Acquisizione parziale, a quanto è dato di capire – il sistema di scatole cinesi, è il caso di dirlo, è quantomai complesso –, ma che di fatto fa cambiare bandiera all’azienda milanese. E questo anche se Marco Trochetti Provera resterà l’AD del marchio fondato quasi un secolo e mezzo in una città che si sarebbe presto distinta per fare da traino italiano e talora europeo allo sviluppo economico. Si dirà: e questo quanto interessa a una rivista che si occupa di creatività contemporanea? A dire il vero, parecchio. Perché, com’è noto, uno dei centri d’arte più vivaci e interessanti del Paese si chiama Hangar Bicocca, sta a Milano ed è direttamente legato a Pirelli. Dunque, cosa cambierà? “Nulla, nessuna riduzione, anzi…”, fanno sapere dal capoluogo lombardo, quindi probabilmente anche lo staff di Hangar può stare tranquillo. Fin qui tutto bene. Anzi chissà che i nuovi proprietari non scommettano ancora di più su arte e cultura.
È tuttavia un fatto che anche l’arte stia subendo sempre più rapidamente il processo di ridefinizione degli equilibri di potere a livello globale, e il conseguente accentramento da parte di colossi che controllano settori amplissimi di specifici ambiti produttivi. A detrimento di esperienze certo più locali, ma non per questo – anzi – meno importanti nel quadro complessivo. E non è una questione identitaria, nazionale o nazionalistica; piuttosto è un discorso di terroir, per mutuare un termine dall’ambito enologico, che peraltro sarà l’asse portante dell’imminente Expo, ospitato proprio a Milano.
Così è accaduto qualche anno fa con la discesa in campo – anche qui, è il caso di dirlo – di monsieur Pinault a Venezia. Non tanto con la successiva e monumentale operazione a Punta della Dogana, bensì con quel primo passo che fu l’acquisizione, diciamo così, di Palazzo Grassi. Che i meno giovani ricorderanno come una vetrina sfavillante per le attività culturali promosse dalla Fiat. Se poi si allarga lo sguardo alla vendita dei tanti marchi di moda e affini, e alla diaspora inarrestabile di artisti, critici e curatori, allora il quadro assume connotazioni chiare. Il fatto è che oggi due tra i centri d’arte contemporanea più vivi e vivaci del paese – Hangar Bicocca e Palazzo Grassi\Punta della Dogana – già in mano alla grande industria pesante italiana, sono gestiti da grandi capitali stranieri.
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