Cosa accadrà al sistema culturale inglese nel secondo mandato di Cameron? Nulla di buono, a partire dalla privatizzazione dei servizi della National Gallery…
Da quando il 7 maggio il popolo britannico ha prolungato di altri cinque anni la permanenza del conservatore David Cameron al numero 10 di Downing Street, il timore per il futuro prossimo del settore culturale del paese si è diffuso a macchia d’olio tra gli addetti ai lavori. Un altro quinquennio di spietata pressione politica e […]
Da quando il 7 maggio il popolo britannico ha prolungato di altri cinque anni la permanenza del conservatore David Cameron al numero 10 di Downing Street, il timore per il futuro prossimo del settore culturale del paese si è diffuso a macchia d’olio tra gli addetti ai lavori. Un altro quinquennio di spietata pressione politica e tagli indiscriminati rischia infatti di abbattere il virtuoso sistema culturale e museale inglese, che ha fatto della gratuità, dell’accessibilità pubblica e democratica e dalla qualità dell’offerta i suoi punti di forza, nonché orgoglio nazionale. “Altri cinque anni di governo conservatore ridurranno l’arte e la cultura ad una barzelletta nazionale”, ha titolato – e pronosticato – il quotidiano britannico The Guardian, in un articolo pubblicato proprio il giorno prima delle elezioni.
Le avvisaglie dell’emergenza ci sono già da tempo: dallo scorso febbraio, si susseguono infatti scioperi degli impiegati della National Gallery contro l’ipotesi di privatizzare i servizi al pubblico del museo londinese che si affaccia su Trafalgar Square. Molte delle sale sono attualmente chiuse a causa della situazione critica e il direttore e il consiglio d’amministrazione sono al momento bersaglio di critiche efferate. Ma se dall’alto si deciderà di chiudere i rubinetti, la privatizzazione sarà l’unico compromesso plausibile per la sopravvivenza stessa del museo. Un mix di ideologia e promesse dei Conservatori in campagna elettorale di non toccare l’educazione né tanto meno l’NHS – il sistema sanitario nazionale in vigore nel Regno Unito – lascia immaginare che i tagli alla cultura siano ormai una realtà incombente più che un’ipotesi remota.
Non stupisce quindi che negli ultimi tempi molti direttori dei principali musei nazionali si siano defilati: Penelope Curtis della Tate Britain e Neil MacGregor del British Museum, tanto per citarne un paio. Certo, ognuno di loro aveva le sue ragioni personali, ma non ci vuole molto ad immaginare che, tra le motivazioni della dipartita, ci sia anche la preoccupazione per la scure del governo sui finanziamenti pubblici.
“La tragedia alla National Gallery è un avvertimento – concludeva l’articolo del The Guardian – Se davvero volete vedere il caos, votate i Conservatori.”
E caos sia.
– Marta Pettinau
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