Lo Strillone: tesori archeologici scoperti e reinterrati sul Corriere della Sera. E poi la bolla del mercato dell’arte, privati al Teatro alla Scala
“Reinterrare un bene archeologico? Succede spesso. E ha senso quando non si può conservare, valorizzare, comunicare come sarebbe giusto”. Sul Corriere della Sera Paolo Conti affronta l’annoso problema tutto italiano: la sovrabbondanza dei ritrovamenti rispetto alle risorse disponibili per recuperarli e valorizzarli. “Ma nel caso delle ultime scoperte dell’Arco di Tito al Circo Massimo diventa […]
“Reinterrare un bene archeologico? Succede spesso. E ha senso quando non si può conservare, valorizzare, comunicare come sarebbe giusto”. Sul Corriere della Sera Paolo Conti affronta l’annoso problema tutto italiano: la sovrabbondanza dei ritrovamenti rispetto alle risorse disponibili per recuperarli e valorizzarli. “Ma nel caso delle ultime scoperte dell’Arco di Tito al Circo Massimo diventa difficile capire il perché del reinterro. Si parla di mancanza di fondi. Sono pronto a scommettere che tanti mecenati, per esempio americani, sarebbero disponibili subito a finanziare i lavori per gli scavi e il recupero dell’Arco”. Ma è un problema solo romano? “Un’altra storia di reinterro è quella del Villaggio Preistorico di Nola, scoperto nel 2001 e ricoperto nell’estate scorsa. Il complesso che risale a quattromila anni fa (l’hanno chiamato la Pompei dell’Età del Bronzo) era minacciato da una falda acquifera che rischiava di far letteralmente scomparire i delicati reperti. Troppo scarsi i fondi a disposizione, diciamo inesistenti. Allora meglio riseppellire tutto. Sperando in un futuro migliore”.
Se l’arte è ostaggio della migliore offerta. Su La Repubblica arriva un’analisi del mercato dell’arte firmata da Adam Gopnik per il New Yorker: “un’ondata di denaro ha investito il mercato. Si inseguono gli stessi brand culturali ma il numero di Picasso in circolazione è limitato. Così si forma la nuova bolla“. Ma è cosa solo di oggi? No, negli anni Ottanta Robert Hughes “si domandava se la vertiginosa ascesa del mercato non avesse creato le condizioni per una cultura brutalizzata del desiderio inappagabile, producendo quotazioni tali alle aste che un mediocre Picasso del 1923 era stato venduto per tre milioni di dollari. Lo sdegno di allora oggi possiamo giudicarlo un affarone, di fronte a una spirale dei prezzi che non fa che allargarsi, verticalmente e orizzontalmente, senza che si riesca a intravederne la fine”. “Porterò alla Scala anche i soldi dei big italiani”: Il Giornale intervista il sovrintendente Alexander Pereira del Teatro alla Scala di Milano, che parla delle sue strategie, anche economiche: “per ora ho convinto Dolce e Gabbana e Banca Intesa. Con questi fondi avremo la possibilità di rischiare di più”.
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