Montanari senza censure sulla mostra di moda alla Galleria Borghese. E Anna Detheridge gli risponde con una lettera aperta: “Sono d’accordo con te, ma…”
Il 2 agosto, Tomaso Montanari scrive su La Repubblica dell’irruzione della moda nei musei. Il pretesto è la mostra Couture-Sculpture. Azzedine Alaïa in the History of Fashion che, dallo scorso 11 luglio, ha trasformato le sale della Galleria Borghese di Roma nello showroom dello stilista franco-tunisino. Montanari non si fa scrupoli a condannare l’operazione di […]
Il 2 agosto, Tomaso Montanari scrive su La Repubblica dell’irruzione della moda nei musei. Il pretesto è la mostra Couture-Sculpture. Azzedine Alaïa in the History of Fashion che, dallo scorso 11 luglio, ha trasformato le sale della Galleria Borghese di Roma nello showroom dello stilista franco-tunisino.
Montanari non si fa scrupoli a condannare l’operazione di accostare abiti di couture a capolavori di Bernini, Canova e Caravaggio. Secondo la sua opinione, il problema non è l’uso del museo come fosse una vetrina commerciale, ma la pretesa – chiara sin dal titolo della mostra – di instaurare a tutti i costi un dialogo paritario tra abiti e opere e di obbligare il pubblico ad una similitudine tra la moda di oggi e la grande arte del passato.
“Ha senso che sia un’istituzione culturale ad affermare che tra un marmo di Bernini e una maglia di Alaïa non ci sarebbe differenza?” si chiede lo scrittore e storico dell’arte. La verità è che la mostra avrebbe avuto un senso se allestita in un museo di arte o moda contemporanea, come accaduto a New York e a Parigi. “Se, invece, in Italia li portiamo alla Borghese è per una duplice incapacità: non sappiamo più come usare il nostro patrimonio culturale, e non riusciamo ancora a costruire veri luoghi del contemporaneo (il fallimento del Maxxi è solo una tra mille prove).” Secondo Montanari, nei musei come Villa Borghese dovremmo vedere opere consacrate dal giudizio di generazioni e non un’arte che cerca la legittimazione per osmosi.
L’articolo non è passato inosservato e la critica d’arte Anna Detheridge – curatrice insieme a Gabi Scardi della mostra Fashion As Social Energy al Museo della Moda di Palazzo Morando, a Milano – ha risposto a Tomaso Montanari con una lettera aperta: “A grandi linee sono d’accordo con te. Io non ho visitato la mostra, ma basta vedere le immagini riportate dal giornale per capire che qualcosa stride, che così non va bene.” Continua: “In tempi di ristrettezze economiche il mondo della Cultura si fa facilmente convincere lasciandosi strumentalizzare da chi allunga due soldi in cambio di un’operazione che come dici tu non aiuta a capire né l’una né l’altra. Ma gli argomenti in difesa del tempo che sedimenta e seleziona le vere opere d’arte da quelle non vere mi sembra debole e un po’ ipocrita.” Anna Detheridge sostiene che i capolavori, gli stessi custoditi a Villa Borghese, furono considerati tali già dai coevi.
Il suo augurio? “Che in futuro si possa pensare di realizzare delle mostre o anche dei progetti che comincino a guardare alle opere d’arte, all’alto artigianato, al costume come facenti parte di un insieme (…)Troppo spesso si ragiona esclusivamente per discipline, con l’unico obiettivo di legittimare la propria, e non per comprendere la genesi comune, i rimandi costanti tra le arti di un determinato periodo o luogo. Progettiamo iniziative e mostre che abbiano un senso per chi le fa e per chi le potrebbe godere, al di là degli opportunismi commerciali. Anche gli sponsor andranno avvertiti che non è nel loro migliore interesse imporre un confronto così crudele e insensato tra la moda – anche se si chiama “alta” – e le opere di un museo come la Galleria Borghese.”
Il dibattito resta aperto.
– Marta Pettinau
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