Superdirettori dei musei, ecco che ne pensa la stampa italiana. Dagli entusiasti Gian Antonio Stella e Giuliano Da Empoli ai critici Salvatore Settis e Vittorio Sgarbi
Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera “La nomina di sette stranieri (tre tedeschi, due austriaci, un britannico e un francese) alla guida di sette importanti musei o poli museali italiani più il rientro con lo stesso ruolo di altri quattro italiani che se n’erano andati all’estero per cercare lo spazio che in Italia […]
Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera
“La nomina di sette stranieri (tre tedeschi, due austriaci, un britannico e un francese) alla guida di sette importanti musei o poli museali italiani più il rientro con lo stesso ruolo di altri quattro italiani che se n’erano andati all’estero per cercare lo spazio che in Italia non c’era, è dunque, di per sé, un’ottima notizia. Come buona era stata la composizione della commissione che ha selezionato le terne di nomi tra i quali Dario Franceschini e il suo direttore generale per musei Ugo Soragni hanno scelto i venti direttori”.
Dario Pappalardo su La Repubblica
“Si tratta di un ricambio ai vertici che di fatto volta le spalle alla “vecchia” macchina dell’amministrazione dei beni culturali italiani. Si sono rotti equilibri storici, si parla, all’interno del Mibact di “sfiducia” del ministro verso i propri funzionari, tra cui solitamente si sceglievano i direttori”.
Salvatore Settis su La Repubblica
“Nonostante la retorica della ‘valorizzazione’, quasi tutti i neodirettori non sono manager della cultura, ma storici dell’arte o archeologi (fa eccezione Mauro Felicori, assegnato a Caserta), con esperienze museografiche. Sette sono stranieri, ma neppure uno viene dalla direzione di un grande museo. C’è chi ha diretto musei piccoli o medi come quelli di Montargis (Sylvain Bellenger, che dirigerà Capodimonte), di Braunschweig (Cecilie Hollberg, ora alle Gallerie dell’Accademia di Firenze), di Linz (Peter Assmann, che passa al Ducale di Mantova), c’è chi ha lavorato nei musei, ma come curatore (come il neodirettore degli Uffizi Eike Schmidt, o Peter Aufreiter che dirigerà la galleria di Urbino), c’è chi non ha mai lavorato in un museo, come il più giovane di tutti, Gabriel Zuchtriegel (34 anni), a cui è stata assegnata Paestum; c’è, infine, chi viene dalla gestione di una fondazione privata in Italia (Palazzo Strozzi), come James Bradburne”.
Francesco Bonami su La Stampa
“James Bradburne alla Pinacoteca di Brera mi sembra insufficiente. A Palazzo Strozzi dove è stato direttore non è veramente riuscito a far diventare l’istituzione fiorentina un vero polo di riferimento internazionale sia per i programmi che per numero di spettatori. Brera è molto più complicata di un Palazzo Strozzi, gli auguriamo di abbandonare sia l’anima populista che quella di designer culturale, dando a Brera quello che è di Brera, reputazione, visibilità e il pubblico che si merita. Difficile comunque in questa nomina non vedere l’ombra di qualche strascico di trama renzista arrivata dal sottobosco fiorentino. Un’altra nomina che trovo un po’ esagerata è quella di Cristiana Collu alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Ho sempre stimato la Collu per il lavoro al Man di Nuoro ma la sua ascesa repentina mi ha fatto sorgere qualche sospetto. Al Mart di Rovereto non ha fatto un granché sciupando un po’ l’eredità di quella forza della natura che era stata Gabriella Belli, ora a capo dei musei civici veneziani”.
Vittorio Sgarbi su Il Giornale
“Oggi invece gli Uffizi sono tolti a un ottimo direttore, Antonio Natali, e affidati non a un manager ma a uno studioso tedesco di arte italiana del Rinascimento: Eike Schmidt, di cui sono apprezzati più gli studi che le sconosciute capacità manageriali. La sua tesi, nella limitata esperienza dei 47 anni, è sulle Collezioni medicee di sculture in avorio nel Cinquecento e Seicento. Ha poi lavorato per il museo Getty e per Sotheby’s. Ma la sua vittoria plausibile deriva da una gara impossibile con il suo pluridecorato collega fiorentino, Antonio Natali, di cui certo, davanti a qualunque commissione, Schmidt non ha più titoli. Non ha senso mettere a confronto metodo e conoscenza; l’errore grave e imperdonabile del ministro è avere immaginato un concorso che, oggettivamente, mortificasse funzionari di Stato, uomini delle Soprintendenze, di cui carriera ed esperienza non sono stati rispettati”.
Giuliano Da Empoli su Il Messaggero
“Uffizi, Brera, Capodimonte e tutti gli altri: da settembre a dirigerli non saranno più i soliti funzionali vestiti di grigio e di marrone, bensì marziani. Dieci donne e dieci uomini, età media cinquant’anni, tra i quali sette stranieri e quattro italiani che rientrano dall’estero. Da un punto di vista simbolico è una rivoluzione. Nel mondo, i direttori dei nostri musei più importanti contano più dei ministri (in teoria, siamo considerati una superpotenza culturale…). Dei bizantinismi delle nostre vicende politiche, all’estero, s’interessano pochissimo. Ma la cultura è tutta un’altra storia: quella è da prima pagina del New York Times. L’immagine di una squadra finalmente selezionata con criteri competitivi – un bando di gara internazionale, una commissione giudicatrice di alto livello – è dirompente”.
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