Venezia Updates: in prima mondiale un documentario su Brian De Palma. Presentato al Festival per la consegna del premio Jaeger-LeCoultre al grande regista
110 MINUTI, SENZA MAI ALZARSI DALLA SEDIA Noah Baumbach e Jake Paltrow (fratello di Gwyneth) si sono limitati a inquadrare Brian De Palma e premere il tasto rec, il resto lo ha fatto il regista raccontando i suoi film. Dopo i 110 minuti si esce dalla sala un po’ frastornati, come quando si assiste a […]
110 MINUTI, SENZA MAI ALZARSI DALLA SEDIA
Noah Baumbach e Jake Paltrow (fratello di Gwyneth) si sono limitati a inquadrare Brian De Palma e premere il tasto rec, il resto lo ha fatto il regista raccontando i suoi film. Dopo i 110 minuti si esce dalla sala un po’ frastornati, come quando si assiste a un film d’azione dalla trama cervellotica, e invece De Palma, in camicia casual blu, non si è mai alzato dalla sedia. Una carriera di mezzo secolo, decine di film indimenticabili, Vestito per uccidere, Gli intoccabili, Scarface, Fury, Carrie, Carlito’s Way, Mission: Impossible, Femme Fatale, The Black Dalhia, per citarne alcuni. E un gruppo di amici veri – Martin (Scorsese), George (Lucas), Steven (Spielberg) – con cui condividere idee sul cinema, sceneggiature, vita. La generazione di cineasti che negli anni ’70 inaugurò a Hollywood una stagione irripetibile di totale libertà espressiva, prima che gli affaristi entrassero negli Studios per non uscirne più.
DE PALMA, IL SANGUE E IL PADRE CHIRURGO
Una cosa il regista ci tiene a chiarirla, lui col sangue non ha mai avuto problemi, perché il padre era un chirurgo e la quantità versata nelle sale operatorie è maggiore rispetto al succo di pomodoro dei set e, soprattutto, vera. Mentre le immagini dei suoi film scorrono De Palma ne svela i retroscena produttivi, i dettagli tecnici e gli aneddoti: la scelta dello split-screen come strumento narrativo e firma visiva in diversi film a partire da Sisters; la possibilità di usare in Blow Out la steadycam per i piani sequenza lunghi e in movimento, tecnologia costosa e all’epoca appena introdotta, ma che gli fu concessa dato che per John Travolta le produzioni non ponevano limiti di budget; o ancora il bullismo di Sean Penn nei confronti Michael J. Fox fuori e dentro il set di Vittime di guerra; la sperimentazione di scene complesse in cui moltiplicare i punti di vista, come la sparatoria di Scarface, a cui dedicò molta attenzione perché Al Pacino si era infortunato un dito e per due settimane poté così sbizzarrirsi con il resto dei criminali; la ricerca di escamotage narrativi meno prevedibili per le scene d’azione del primo Mission: Impossible. Un numero incredibile di ricordi, immagini, storie quando si pensa che appartengono a una sola persona. Illuminati da uno sguardo divertente e divertito, perfettamente in sintonia con un cinema che prima di tutto deve “emozionare visivamente” il pubblico.
– Mariagrazia Pontorno
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