Tracey Moffatt rappresenterà l’Australia alla Biennale di Venezia 2017. È prima artista aborigena invitata alla kermesse con una personale
Dopo la svolta fringe impressa da Massimiliano Gioni nel 2013 e la svolta accademica coordinata quest’anno da Okwui Enwezor, quale sarà l’impostazione scelta per la 57° edizione della Biennale di Venezia? Mentre la risposta a questa domanda rimane in sospeso, arrivano anticipazioni sui partecipanti alla prossima rassegna. Una di queste è stata ufficializzata in settimana […]
Dopo la svolta fringe impressa da Massimiliano Gioni nel 2013 e la svolta accademica coordinata quest’anno da Okwui Enwezor, quale sarà l’impostazione scelta per la 57° edizione della Biennale di Venezia? Mentre la risposta a questa domanda rimane in sospeso, arrivano anticipazioni sui partecipanti alla prossima rassegna. Una di queste è stata ufficializzata in settimana dai commissari del futuro padiglione Australia: nel 2017 sarà Tracey Moffatt (Brisbane, 1960; vive tra New York e Sydney) la prima artista indigena australiana a presentare una mostra individuale alla Biennale, dopo le prime installazioni collettive di arte indigena presentate nel 1991 e nel 1997 fino alla più recente, durante la scorsa edizione, co-curata dall’italiana Giorgia Severi in collaborazione con il Kayili Art Centre in Patjarr e Tjanpi Desert Weavers.
Tracey Moffatt è l’artista australiana più famosa di tutti i tempi, con all’attivo oltre 100 mostre personali a livello internazionale. Videomaker oltreché fotografa, con i suoi lavori ha partecipato alle rassegne del Festival di Cannes, del MoMa e del Dia Centre for the Arts a New York, e del National Centre for Photography a Parigi. Del 2006 la prima (e unica) retrospettiva italiana presso lo Spazio Oberdan di Milano, mostra che ha teso a evidenziare più di ogni altro aspetto la cinematicità dei suoi scatti. Sfondo alle sue costruzioni visuali, che mescolano cultura pop e rimandi lynchiani, il vissuto indigeno e l’immaginario australiano. Un’artista, insomma, capace di spazzare via ogni cliché etnografico legato all’immaginario dell’arte aborigena contemporanea. Come si inserirà nel contesto della prossima Biennale, sarà nelle mani del prossimo direttore artistico.
– Margherita Zanoletti
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