Lo Strillone: Paolo Baratta, la Biennale di Venezia e il domani su La Repubblica. E poi Piero della Francesca a Forlì, foto di soprusi siriani
“Ci teniamo a presentare al mondo la Biennale come esempio di una istituzione pubblica che opera secondo regole del codice civile, che innesta la logica d’impresa del diritto privato nel sistema dell’amministrazione pubblica. È una scelta di libertà e nello stesso tempo di rigore che ci tiene lontano da errori e sprechi”. Mentre sta per […]
“Ci teniamo a presentare al mondo la Biennale come esempio di una istituzione pubblica che opera secondo regole del codice civile, che innesta la logica d’impresa del diritto privato nel sistema dell’amministrazione pubblica. È una scelta di libertà e nello stesso tempo di rigore che ci tiene lontano da errori e sprechi”. Mentre sta per partire per il tour mondiale per presentare il curatore della prossima Mostra Internazionale di Architettura, La Repubblica intervista il presidente Paolo Baratta sul futuro della Biennale di Venezia: “Aravena ha dato alla sua mostra un titolo interessante, Reporting from the Front, notizie dal fronte, che illustrerà la necessità di migliorare la qualità dell’ambiente edificato, e quindi la qualità della vita delle persone, in luoghi difficili e con scarsi mezzi”. E dopo? “Il presente per me vuoi dire pensare sempre al futuro, da quando presiedo la Biennale ho sempre lavorato per il domani. Abbiamo già nominato il curatore, anzi la curatrice dell’Arte per il 2017, e stiamo lavorando per il dopo. Soprattutto Arte e Architettura comportano una realizzazione complessa, che richiede molto tempo. Continuare a cambiare il responsabile delle scelte impedisce di avere un disegno omogeneo e progressivo. Questi incarichi a tempo, un tempo che spesso non viene concluso, sono una decisione molto italiana. Nelle istituzioni straniere i responsabili non hanno un limite all’incarico, come Nicolas Serota, a capo delle Tate Galleries di Londra, la Britain dal 1988, e poi dal 1995 anche la Modern”.
“Un incubo deforme turba il sogno di Piero che questa mostra è, assecondando i mercanti e i malevoli che hanno riportato alla luce un cattivo spunto dell’ottimo Longhi (certo in malafede)”. Vittorio Sgarbi recensisce su Il Giornale la grande mostra ispirata da Piero della Francesca a Forlì: e dopo averne tessuto le lodi con toni entusiastici, chiude con una stilettata che non ammette repliche, riferita a una “Madonna con il bambino” attribuita a suo dire erroneamente al grande artista. “Eccola davanti a noi nella sua disarmata povertà: i tratti inespressivi, i volti molli, le mani inerti, il piede equino, la gamba informe; incredibile non meno della scritta del pittore che la ritoccò, il valente Alessandro Rosi, riferendola a Leonardo da Vinci. Sembra uno scherzo che la critica atteggiata finge di non vedere. Né posso credere che Antonio Paolucci, ispiratore della mostra, la consideri autografa”. Una mostra che accende gli animi anche su Il Fatto Quotidiano: “uomini e donne, uccisi dal regime siriano. È la verità di Caesar, nome in codice del fotografo della polizia militare che per due anni (dal marzo 2011 all’agosto 2013) ha immortalato i cadaveri nelle carceri e nei centri di detenzione di Assad. Sono 55mila scatti raccolti e trafugati su una chiavetta Usb dal disertore che nel 2014 diventa il principale accusatore dei metodi di Damasco nella repressione della guerra civile”. La mostra, già ospitata da istituzioni in giro per il mondo come il Palazzo di Vetro dell’Onu a New York e il Parlamento europeo, è stata rifiutata dalla Camera dei deputati italiani.
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