Ipotetiche giunte comunali. A Roma Virginia Raggi chiama Rosanna Rummo alla cultura ma lei risponde di no
Dopo la malsana ipotesi di Tomaso Montanari, la quasi-sindaco di Roma ha tentato di nominare Rosanna Rummo, alta burocrate ministeriale, come assessore alla cultura. Ma lei ha risposto no. E adesso?
Non accenna a scemare la telenovela che, a pochissimi giorni dal secondo turno di ballottaggio, affligge le composizioni delle giunte e in particolare il ruolo di assessore alla cultura nella ipotetica (ma assai favorita) Giunta di Virginia Raggi a Roma.
Mentre Roberto Giachetti ha da tempo indicato come assessore il direttore di Radio Rai 3 Marino Sinibaldi (che in tutta risposta si è contraddistinto per assenza, non dando granché supporto al candidato che l’ha prescelto), la concorrente strafavorita, Virginia Raggi, aveva pensato allo storico dell’arte Tomaso Montanari. La nomina è – a nostro avviso per fortuna – a quanto pare sfumata, ma al suo posto (mentre qualche rumors ha fatto baluginare il nome di Luca Bergamo) è spuntato il nome di Rosanna Rummo.
Nome che è comparso e scomparso nel giro di una giornata complice l’agenzia Ansa. Esce un lancio Ansa che annuncia l’anticipazione dei nomi della giunta da parte di Virginia Raggi il prossimo giovedì e dà come papabile per l’assessorato alla cultura Rosanna Rummo. La quale poteva tacere ed aspettare, lasciando cadere la cosa, ed invece opta per esternare, sempre mediante Ansa, ma non per smentire bensì per dire che sì, le era stato offerto l’assessorato, ma che lei l’aveva “declinato” preferendo il suo lavoro di direttore generale per gli archivi e le biblioteche del Ministero della Cultura. Un lavoro, tra l’altro, retribuito con 166mila euro l’anno (più di quanto guadagna Matteo Renzi) non certo paragonabile con il poco sfarzoso stipendio di un assessore che di contro ha anche ben più gatte da pelare.
PROPRIO IL 5 STELLE SCEGLIE L’ESTABLISHMENT?
Ciò che colpisce dunque non è il “no” opposto dalla Rummo (che in passato a Roma ha avuto ruoli importanti al Palazzo delle Esposizioni prima di spostarsi a Parigi dove è stata direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura), bensì le scelte del Movimento 5 Stelle, poco congruenti coi suoi propositi. Privo di una classe dirigente strutturata o non troppo confidente nel valorizzare i propri giovani militanti (ed è un peccato), il Movimento sembra – specie per ruoli cruciali come la cultura e l’urbanistica – sentire la necessità di appoggiarsi a personalità assai mature, spesso molto compromesse con altre parti politiche e fin troppo addentro all’establishment. Insomma esattamente il contrario della richiesta di innovazione e di cambio di passo che gli elettori hanno espresso andando di votare Cinque Stelle.
LE NOSTRE NOMINATIONS
Un profilo un poco più innovativo, che interpreti a pieno il rischio che i romani si sono voluti prendere scegliendo un governo di rottura, è davvero così difficile da individuare? E’ così complicato per chi ha vinto proprio per cambiare tutto, cambiare tutto per davvero magari dando per la prima volta una chance a chi è stato sempre schiacciato da baroni universitari e raccomandati dai partiti? Nomi come Emiliano Paoletti, Monique Veaute, Monica Scanu, Fabio Severino, Barbara Marcotulli, Michele Gerace (certamente ne dimentichiamo tantissimi) – e non certo Christian Raimo di cui, ahinoi!, si favoleggia e del quale abbiamo parlato qui – sono nomi che sono stati vagliati o si preferisce andare sul sicuro con burocrati di stato e vecchi professori continuando a lasciare ai margini chi invece meriterebbe prima o poi di ricevere responsabilità? E se questi nomi non vanno bene perché non sperimentare la carta dell’estero sia coinvolgendo qualche bel nome straniero o cercando di far rientrare in città i tanti talenti che sono scappati? Tutto si può fare, tutto si può sperimentare. Fuorché riciclare figure che già hanno ampiamente dato e dovrebbero passare se non gli onori (degli stipendi) per lo meno gli oneri (delle responsabilità) alla generazione successiva. In coerenza con lo spirito innovativo del Movimento di Beppe Grillo.
– Massimiliano Tonelli
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