Erdogan sempre più dittatore in Turchia. Elmgreen&Dragset dovrebbero dimettersi da curatori della Biennale di Istanbul 2017?
Dopo il fallito golpe e la repressione in Turchia, devono Elmgreen&Dragset dimettersi dalla direzione artistica della Biennale di Istanbul? Il confine tra impegno politico e solidarietà intellettuale è sottile. La domanda infiamma i social. Voi che ne pensate?
Dovrebbero Elmgreen&Dragset dimettersi dalla direzione artistica della Biennale di Istanbul dopo i fatti che stanno sconvolgendo la Turchia? La domanda viene dai social: a lanciarla, scatenando immediatamente un dibattito nel mondo dell’arte, è Alessandra Mammì, firma de “L’Espresso” e curatrice di mostre e progetti tra arte e cinema.
I fatti successivi al tentato golpe del 15 luglio hanno sconvolto tutto il mondo e ancora stanno facendo parlare per le misure restrittive e autoritarie che il governo di Erdogan sta applicando – dalla Legge Marziale, al coprifuoco, all’ipotizzato ripristino della pena capitale – dovrebbero suscitare anche lo sdegno nel duo scandinavo che ha ricevuto la nomina dalla Istanbul Foundation for Culture and Arts lo scorso aprile, per l’edizione 2017?
La kermesse turca inaugurerà – nelle previsioni – qualche mese dopo la Biennale di Venezia e, dunque, la sua organizzazione dovrebbe impegnare sin d’ora i due artisti – che lavorano insieme dal 1995 – in una atmosfera che non è certo delle migliori. Vero è, fanno notare in molti, che Elmgreen&Dragset non hanno mai mostrato una vocazione “politica” e che quindi non dovrebbero raccogliere – per coerenza – la sfida delle dimissioni.
MOLTE LE DOMANDE IN CAMPO
Ma bisogna essere politici per schierarsi contro quella che sempre di più si delinea come un’urgenza democratica e una violazione dei diritti minimi della persona, anche se in un temporaneo, almeno si spera, stato di emergenza? E soprattutto, nel momento in cui la persecuzione si manifesta anche nei confronti dei 6500 docenti, destituiti dal loro incarico e impossibilitati a lasciare il Paese, rappresentanti essi stessi del mondo della cultura, una sorta di solidarietà di categoria non sarebbe auspicabile? A prescindere dalla scelta che faranno i due artisti – e che in entrambi i casi sarà più che lecita – la domanda riguarda anche che cosa faranno i colleghi invitati dalla coppia, tra le più assidue nella frequentazione di Biennali (hanno infatti partecipato diverse volte alle manifestazioni di Istanbul, Liverpool, Singapore, Mosca, Venezia, Gwuangju, San Paolo e Berlino), accetteranno o rifiuteranno? E se accetteranno saranno liberi di esprimersi? E il mondo dell’arte chiamato a ratificare o meno la mostra, potrà limitarsi a valutare l’arte, partecipando all’atmosfera festaiola di un opening VIP? Sono molti i quesiti in campo, in questa estate sempre più torrida e riscaldata dalla violenza della storia, che ci fanno arrivare alla domanda più importante: può l’arte esimersi in un contesto così difficile dal prendere una posizione?
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