Tutti (non) vogliono Pokémon Go. L’Holocaust Museum di Washington vieta il gioco che fa impazzire la rete

Il gioco per smartphone è diventato in brevissimo tempo una mania che accomuna grandi e piccoli, esperti e principianti. Ma il museo dedicato all'Olocausto non ci sta

Se vi dovesse capitare di incontrare persone che cercano di catturare qualcosa di inesistente con il proprio smartphone, non pensate subito al classico colpo di sole. É più probabile che siano fra i tanti che si sono scaricati l’applicazione di Pokémon Go, il gioco interattivo che in poche settimane si è imposto all’attenzione globale, diventando la vera e propria mania dell’estate 2016, diffusa a tutte le fasce di età e di “erudizione” tecnologica. Appena reso disponibile in Italia, mentre negli Stati Uniti è stato rilasciato da qualche giorno, è diventata una vera e propria mania. Di che si tratta? Molti ricorderanno i Pokémon, le creature immaginarie protagoniste di un videogioco di grande successo comparso verso la fine degli anni ’90, che gli umani potevano catturare, allenare e far combattere per divertimento.

VIGE LA DEREGULATION ASSOLUTA
Ora, com’era facilmente prevedibile, il tutto è stato trasportato in rete, ed adattato all’uso con gli smartphone, che con Pokémon Go consentono al giocatore di catturare le simpatiche creature digitali, che come per magia appaiono improvvisamente in diversi luoghi in realtà aumentata quando questi vengono inquadrati dalla camera dell’apparecchio. Tutto bene, dunque, in fondo è solo un gioco? Non troppo: perché come spesso accade con le innovazioni tecnologiche più estreme, vige la deregulation assoluta. E quindi può capitare che qualcuno si ritrovi ad ospitare degli esserini – e dei relativi cacciatori scatenati – senza saperlo né averlo autorizzato.

UN POKÉMON CHE EMETTE GAS VELENOSO
È quello che è successo all’Holocaust Memorial Museum di Washington, che non l’ha presa benissimo, vietando anzi l’uso del gioco fra le sue sale. “Il museo è generalmente pro-tecnologia e incoraggia i visitatori a utilizzare i social media per condividere le loro esperienze con gli oggetti esposti”, ha dichiarato al Washington Post Andrew Hollinger, direttore della comunicazione del museo. “Ma questo gioco esula di molto dai confini culturali”. La goccia che ha fatto traboccare il vaso pare sia venuta da un visitatore che cercava in ogni modo di incontrare un’inquietante creatura digitale sguinzagliata all’interno del museo: un Pokémon chiamato Koffing che emette gas velenoso. Che, in un luogo dedicato agli ebrei sopravvissuti alle camere a gas, diventa un pochino anche oltraggioso…

Massimo Mattioli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

Scopri di più