La rivelazione shock di Marina Abramović. Tre aborti per restare libera e continuare a fare l’artista
"Ognuno ha un'energia limitata, io avrei dovuto dividerla". Con una rivelazione di scioccante franchezza, Marina Abramović ha rivelato al Tagespiegel di aver scelto per tre volte di abortire
Qualcuno la taccerà di insensibilità, o di superficialità nel parlare d’un argomento che scotta come è l’interruzione volontaria di una gravidanza, eppure Marina Abramović pare soprattutto perfettamente coerente con quello che è il suo abituale modo di fare, nell’arte come nella vita: animata da una sincerità talmente rigorosa da essere scambiata per durezza.
LE RIVELAZIONI IN UN’INTERVISTA
“Ho avuto tre aborti”, ha detto al quotidiano Tagespiegel, in un’intervista subito tradotta e ripresa da Artnet e dal Guardian: diventare madre sarebbe stato un disastro per il mio lavoro. E ancora: “Ognuno ha un’energia limitata, io avrei dovuto dividerla”.
E poi, senza mezzi termini: “Questo è il motivo per cui non ci sono tante donne di successo quanti sono gli uomini nel mondo dell’arte. Ci sono tantissime artiste di grande talento. Ma perché sono i maschi ad occupare le posizioni di maggior rilievo? Semplice! Amore, famiglia, bambini – una donna non vuole sacrificare tutto questo”.
UNA QUESTIONE DI GENERE
O forse sì, come ha fatto lei. Che una volta, a chi le chiedeva se non avesse paura durante le prime – più efferate e cruente – performance di farsi male, rispose senza scomporsi che al cinema il sangue era ketchup, mentre nell’arte sarebbe stato sangue davvero.
Epperò le dichiarazioni estreme, che suonano ancor più forti pronunciate con tale chiarezza da una delle signore dell’arte contemporanea, rimettono sul tavolo la vicenda ancora irrisolta del gender gap che – in differente entità a seconda dei paesi e dei settori professionali – ancora non appare colmato.
E se può sembrare anacronistico il racconto della Abramović, non lo è altrettanto la disparità di genere che affligge il mondo del lavoro? Ma poi è davvero così vero che una professionista, specie se si occupa di creatività e non ha certo orari di entrata e di uscita dal lavoro, sia così ostacolata – e non magari corroborata intellettualmente – da un’esperienza come la maternità?
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