“Peter Doig non ha dipinto quel quadro”. Il tribunale di Chicago ha emesso la sentenza sul controverso caso di attribuzione
Si conclude con una sentenza a favore di Peter Doig il processo di Chicago in cui il pittore scozzese si batteva per negare la paternità di un dipinto. Secondo il giudice, il quadro appartiene a un artista dilettante e “quasi” omonimo
Il giudice federale Gary Feinerman è stato molto chiaro nell’enunciazione della sentenza: “Peter Doig non ha assolutamente dipinto il quadro in questione”. Si chiude così uno dei casi di attribuzione più bizzarri della storia recente, quello che ha visto il pittore scozzese Peter Doig (Edimburgo, 1959) chiamato a dimostrare la propria estraneità rispetto a un quadro a lui attribuito con insistenza da Robert Barlow, gallerista di Chicago, e Robert Fletcher, ex secondino. I due, che probabilmente speravano di guadagnare un bel po’ di soldi dalla vendita del dipinto (circa 6 milioni di dollari, se fosse stato riconosciuto come un Doig), hanno cercato di dimostrare che il “Pete Doige” che ha firmato la tela in loro possesso fosse in realtà un giovanissimo Peter Doig, finito in carcere per storie di droga. Ma le testimonianze della madre del pittore, gli annuari scolastici e altre prove inconfutabili hanno “scagionato” definitivamente Doig, che all’epoca dell’acquisto del dipinto, nel 1976, aveva appena 17 anni e aveva prodotto solo qualche disegno.
PETER EDWARD DOIGE
Inoltre, il vero autore del paesaggio desertico sembra essere stato identificato grazie alla testimonianza della sorella: un carpentiere con l’hobby della pittura noto all’anagrafe come Peter Edward Doige e attualmente deceduto. Doig, che non è intervenuto di persona, ma ha seguito il processo in teleconferenza, ha rilasciato una dichiarazione subito dopo il verdetto: “La sentenza di oggi è la conferma tanto attesa di quello che ho dichiarato quattro anni fa: un giovane artista talentuoso di nome Pete Edward Doige ha dipinto quel quadro, non io… Per fortuna la giustizia ha trionfato, ma ci è voluto fin troppo tempo. Un artista vivente non dovrebbe mai trovarsi nella condizione di dover difendere la paternità del proprio lavoro”.
– Valentina Tanni
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