Festa del Cinema di Roma. È il turno di Sole Cuore Amore di Daniele Vicari: impegno civile, ma il film non arriva al cuore
Grande colonna sonora per il primo tra i titoli italiani in selezione. Ma i troppi stereotipi nei dialoghi e lo stile di regia restituiscono in definitiva un film debole
In uno degli infiniti multiversi possibili sicuramente Kenneth Lonergan sta incrociando Stefano Di Battista in un jazz club, e decide di affidargli la colonna sonora di Manchester by the Sea, che così si attesta a capolavoro. Invece in questo, di mondo, Stefano Di Battista ha incontrato Daniele Vicari e ha scritto le musiche di Sole Cuore Amore. Uno dei più grandi protagonisti del Jazz italiano si è prestato con generosità a una operazione che spicca il volo solo nei momenti in cui è sorretta dal sound di Di Battista, tra l’altro in scene – quelle di movimento ambientate nella metro di Roma – che in maniera naturale si adattano alle note blue, complici i riflessi sui finestrini, la camera a mano e una fotografia raw.
RIPETITIVO MONTAGGIO ALTERNATO
Per il resto il film di Vicari arranca in un ripetitivo montaggio alternato, che serve a proporre e avvicendare le storie delle due protagoniste Eli (Isabella Ragonese) e Vale (Eva Grieco): diverse per estrazione sociale, stile di vita, situazione affettiva. La prima di umili origini e orfana, costretta a passare quattro ore al giorno sui mezzi pubblici per raggiungere il bar in cui lavora e mantenere marito e quattro figli. La seconda di famiglia borghese, danzatrice contemporanea (ma perché il cinema è sempre così poco attento nel rappresentare gli altri linguaggi artistici?), single alla ricerca di una identità sessuale. Si incontrano sul pianerottolo quando una rientra da lavoro e l’altra sta per uscire. Dopo Diaz, Vicari ritorna all’impegno civile focalizzandosi su storie ordinarie di maggioranza silenziosa. L’attenzione che il regista dedica al tema delle realtà periferiche ai limiti dell’indigenza, del lavoro che sfinisce e logora il corpo e la dignità umana, è lodevole. Eppure non riesce a costruire un impianto narrativo fluido e convincente. La Stessa Ragonese, diretta da Virzì in un’altra storia di precariato che invece ha lasciato il segno (Tutta la vita davanti) offre un’interpretazione sincera ma non credibile fino in fondo, dovendosi calare – da siciliana – in un registro rischioso, quel romanesco viscerale che riesce bene solo ai grandi attori o ai romani veri. I troppi stereotipi nei dialoghi e nello stile di regia restituiscono in definitiva un film debole, oltre che una pessima pubblicità per l’ATAC.
– Mariagrazia Pontorno
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