Marc Augé sul terremoto in Umbria. Salvare Norcia per salvarci dai non-luoghi
L’importanza di proteggere i borghi medievali dove è nata l'identità occidentale. Per il celebre antropologo francese serve ad evitare l'omologazione, per rivendicare le differenze come una radice costitutiva dell'Europa
“Difendiamo quei borghi medievali, lì è nata l’identità occidentale“. Terremoto, il giorno dopo: è il momento di iniziare a tirare i primi drammatici bilanci, e di mettersi in moto per salvare il salvabile in termini di patrimonio storico-artistico. Ma è anche il momento per le prime riflessioni sull’accaduto e sulle risposte da dare alla storia, dopo averle date – primariamente – alle popolazioni colpite: anche per la stampa italiana. Il colpo grosso lo mette a segno La Repubblica, che dà spazio al celebre antropologo francese Marc Augé: “salvaguardarli è particolarmente importante oggi, quando la Brexit costringe l’Europa a guardarsi allo specchio e a realizzare un piano per ricostruire la sua fisionomia politica e culturale”. Un intervento imperdibile, che diventa un saggio sociologico sul senso della difesa delle radici occidentali e quindi sulla necessità di salvaguardarne i simboli. “Quando l’antica Roma sconfisse Cartagine, i suoi generali rasero al suolo la città e sparsero sale sulle rovine perché in quel luogo non crescesse più nemmeno l’erba. […] Quell’illusione è diventata un mito per chiunque in seguito volesse cancellare l’identità di un popolo. Durante l’occupazione tedesca della Francia un radiocronista collaborazionista diceva che il suo sogno era quello di far fare all’Inghilterra la fine di Cartagine”.
IL DNA DELL’INTERO OCCIDENTE
Difendere l’integrità di un luogo significa salvare la memoria?, domanda il giornalista. “Non automaticamente ma è un passo importante. […] Il monachesimo ha avuto un ruolo importante nella storia cristiana europea. Ma quel che è in discussione è, più in generale, il dna dell’intero Occidente. Le figure dell’Italia centrale che hanno fatto la storia del cristianesimo tra la fine del primo e l’inizio del secondo millennio sono riuscite a segnare in profondità i caratteri di quella che noi chiamiamo cultura occidentale”. Ma come ricostruire questi luoghi? Come evitare di trasformarli in musei senza vita? “Bisogna fare attenzione ad evitare questo esito. Dobbiamo sapere che l’opera dell’uomo e anche gli eventi naturali fanno parte della storia. Nulla resta esattamente com’era. Il Foro romano è la testimonianza di questo. L’uomo e la natura, gli stessi terremoti, agendo nei secoli ci hanno restituito solo una testimonianza di ciò che fu. Ma quella testimonianza, l’aver saputo salvare quel luogo, è stato decisivo per salvaguardare la memoria della civilizzazione romana. Non sarebbe stato lo stesso se di quell’antica piazza non fosse rimasto nulla”. E il discorso non può non andare al tema dei non-luoghi, cifra del pensiero di Marc Augé: la ricostruzione dei borghi antichi ne sarebbe l’antidoto? “Certamente è un antidoto. È una delle strade per evitare l’omologazione, per rivendicare le differenze come una radice costitutiva dell’Europa. Credo che questo sia essenziale”.
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