Brain Drain. Parola a Chiara Cremaschi
Regista e autrice cinematografica, Chiara Cremaschi ha tentato di non lasciare l’Italia. Ha sondato il terreno a Roma e Milano. Ma poi la “scelta” è ricaduta su Parigi. Il come e il perché in questa intervista.
Dopo otto anni hai lasciato Roma. Perché?
Dopo esperienze nel cinema indipendente a Bergamo Film Meeting e sui set di Davide Ferrario ed Enrico Verra, e la realizzazione di tre corti con una piccola produzione di Torino, ho concorso nel 2005 all’importante Premio Solinas per la sceneggiatura, con il soggetto di un film, Il cielo stellato dentro di me. In giuria mi hanno notato e proposto di collaborare alla scrittura di due serie tv. Così mi sono trasferita a Roma, per curiosità e necessità di lavorare. Ho imparato presto che il mondo del cinema italiano si fonda su logiche lontane dalla meritocrazia. La professionalità è sottopagata: per far quadrare i conti, bisogna fare salti mortali. A meno di rendite di famiglia, e questo prevale nell’ambiente, purtroppo. Dopo anni, mi sono trovata lontana dai miei interessi. Ho tentato un primo movimento con Milano, ma l’antifona non è cambiata. Lì ho deciso di fare una pausa per ri-tracciare il mio percorso di autore e regista indipendente.
Perché Parigi?
Là mi portavano i miei interessi. Ho inviato la mia candidatura nel 2009, per lo stage di realizzazione documentaria per gli Ateliers Varan. Agli Ateliers richiedono un’auto-presentazione e lo sviluppo di un tema assegnato. Se passi la prima fase, vai al colloquio per la selezione, dove ti comunicano subito il risultato. Varan impone anche di proporsi con un piano di finanziamento supportato da partner per lo stage e la vita a Parigi. Non sono ammessi auto-finanziamenti. Ciò seleziona molto i partecipanti. I colleghi sono infatti tutti molto professionali e vengono dal mondo intero. Io mi sono mossa con l’Associazione Casa Di Vittorio e la Cgil Nazionale e una piccola borsa di studio per professioniste donne in formazione continua della Comunità Europea. Per la maggior parte dei miei colleghi lo stage è stato pagato tramite l’intermittenza dello spettacolo o la formazione continua. Si tratta di 15mila euro…
Quali opportunità hai trovato a Parigi?
Innanzitutto ho trovato una città di persone serie, dove mi hanno risposto senza raccomandazioni. E poi la cultura e l’istruzione sono pane quotidiano per tutti, ad alti livelli qualitativi. Questo stimola la produzione di contenuto per tutte le discipline, perché la domanda è esigente. Per un’autrice indipendente come me, esistono più possibilità di finanziamenti, residenze artistiche, formazione continua. C’è una borsa di studio che supporta la scrittura di soggetti d’avanguardia, riconoscendo l’autore. Ci sono la Scam, ovvero la Siae francese con la brouillon d’un reve, oppure l’aidé à l’ecriture del Cnc e l’aidé della Cnap. Ovviamente non è scontato vincere, perché la selezione è dura, ma si fonda sul principio della meritocrazia. Per assurdo, la disoccupazione è vantaggiosa, perchè permette di accedere gratuitamente a teatri, musei, mostre, cinemam e continuare a formarsi e stare nel giro. E poi è riconosciuta la formazione continua, che permette di non dover pagare di tasca propria gli aggiornamenti delle proprie competenze e professionalità.
Insomma, in soli due anni ho ottenuto aiuto economico, che mi permette di scrivere con tranquillità, seguire la mia ricerca e pianificare una strategia promozionale verso produttori e finanziatori, meno esposta alle urgenze di mantenimento. Ma soprattutto ho ottenuto un pubblico riconoscimento come autore professionale. In Italia non ce l’ho mai fatta.
La tua professione ha riconoscimenti ufficiali in Francia in termini fiscali e legali?
Sì, per tutti gli artisti. Principalmente tramite la Scam, la Maison des Artistes e l’Agessa.
Quali sono le realtà più interessanti del cinema francese?
Parigi è una cineteca a cielo aperto. Ci sono di continuo festival, rassegne, presentazioni di autori e film di ogni continente e genere. Non si riesce a star dietro a tutto, ma è stimolante. Lo stesso succede per l’arte, il teatro, la danza…
In Italia, i circuiti della distribuzione indipendente, oltre a essere sempre troppo pochi, sono solo per “iniziati”. A Parigi, di mattina, nei cinema d’essai trovi la sala quasi piena di gente d’ogni tipo, per vedere il lavoro di un autore sconosciuto. Gli Ateliers Varan, dove ho studiato, organizzano sempre serate e incontri in cui si può vedere cinema documentario da tutto il mondo. Poi trovo molto interessanti le giornate organizzate a Montreuil, Rencontres du cinema documentaire, e le serate di cinema indipendente e sperimentale de l’Abominable, un’associazione di cineasti che lavora con la pellicola 16 e 35 mm, e quelle dell’Acid.
Cosa vedi quando guardi l’Italia?
Vedo qualche forma di resistenza qua e là, che mi assomiglia. Trovo che la gente sia sola e che si costruiscono più “patti” che relazioni di fiducia fra le persone. Questo fa male a tutto, non solo al cinema. Non sono in grado di dare consigli, perché mi baso sulla mia personale esperienza. Conosco molti colleghi che lavorano bene in Italia, accettando il sistema “di famiglie”. Io mi sentivo fuori posto, e non potevo adattarmi. Se avessi avuto più informazioni (e in Italia ne passano pochissime), sarei sicuramente partita prima.
Neve Mazzoleni
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