Cosa ti ha portato a New York?
A gennaio sono sei anni. Prima di allora, ho vissuto a Parigi, ma sono romano di origine. Nei primi anni alla Sapienza, con professori del calibro di Simonetta Lux, studiavo la scena dell’arte attuale ma anche le radici di quello che succedeva al tempo. Ho sentito a un tratto la necessità di lasciare la “calma romana” e ampliare i miei orizzonti per arricchire il mio bagaglio di competenze e relazioni. Ma i programmi delle università francesi si fermano a Dubuffet o Hartung, mentre io ero interessato alla ricerca contemporanea. A quel tempo lavoravo con una galleria francese e scrivevo per Tema Celeste e D di Repubblica. Volevo andare a New York e grazie alla mia determinazione e a una rete di relazioni sono arrivato a New York per lavorare con Stefania Bortolami, quando era ancora associata con Amalia Dayan.
Perché New York?
È il centro pulsante per le arti contemporanee per antonomasia. Nessuno può prescinderne e nessuna economia emergente ha la forza per scalzarla. In altre città, come Londra, non mi sento a casa.
L’arte contemporanea è vissuta smoothly. Agli opening conosci davvero tutti, perché tutti si presentano: grandi personaggi dell’arte, in mezzo a sconosciuti e artisti emergenti. Mélange culturale e sociale: la città è aperta e questo favorisce il mio lavoro. New York ha probabilmente la più alta densità di collezionisti per metro quadro al mondo, per non parlare dell’importanza e rilevanza delle istituzioni culturali. Sicuramente esiste un coinvolgimento sociale verso i linguaggi contemporanei che non trova eguali, dovuto anche agli importanti investimenti che vengono fatti a favore del settore. Data la mia innata curiosità, la città mi ha indubbiamente attratto.
Come lavori nel mondo dell’arte?
Dopo cinque anni con Stefania Bortolami, sono approdato alla Galleria Gladstone. Nel mondo dell’arte newyorchese siamo sempre in un mercato dinamico e aperto. Il lavoro mi impegna moltissimo, ma è arricchente per la qualità, il livello. Entro in contatto con i maggiori artisti, collezionisti e curatori. Le gallerie stile “supermercato” non mi interessano al momento. Su tutto c’è il gusto di Barbara, che è stata fra le prime a valorizzare l’arte contemporanea italiana, proponendo i poveristi oltre oceano. Pensiamo che “the artists always come first”: i collezionisti vanno e vengono, ma supportare gli artisti e plasmare le loro carriere è il nostro goal principale. Le vendite vanno poi di default.
Quali consigli per chi volesse lavorare nel mondo culturale newyorchese?
Ci vuole tanta energia e sempre voglia di conoscere cose nuove. Ovviamente le amicizie “al posto giusto” possono essere molto utili, ma qui ancora la meritocrazia e l’impegno personale sono il perno principale, soprattutto nel mondo dell’arte e in quello delle gallerie.
Neve Mazzoleni
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