Alle radici più lontane della contemporaneità. La musica cambogiana
Un festival a Montecarlo porta in scena, dopo oltre un secolo, il Balletto Reale cambogiano. Reduce dall’eccidio dei Khmer, la tradizione millenaria asiatica dimostra una inattesa contemporaneità.
Il Festival Printemps des Arts di Montecarlo, in cartellone fino al 14 aprile, è una manifestazione a tema. Quest’anno è dedicato a Beethoven, Bela Bartók e alla musica dell’Europa centro-orientale, da Stravinskij a quelli che il nazismo bollò come compositori degenerati. Ma dedica spazio anche alla musica etnica: in questa edizione, la musica della Cambogia e gli artisti del Congo alle prese sia con musica africana sia con partiture europee (J. Strauss, Bizet, Brahms).
L’universo musicale della Cambogia è alquanto sconosciuto, anche se è stato assaporato in vario modo da Giacinto Scelsi e Olivier Messiaen. La tradizione di musica e danza cambogiana ha circa un millennio e fino a trent’anni era trasmessa solo per via orale. I Khmer Rossi hanno letteralmente devastato quanto esisteva all’inizio degli Anni Settanta, trucidando gran parte degli artisti. Da allora è in atto una paziente opera di ricostruzione (importante il lavoro di Giovanni Giuriati, docente di etno-musicologia all’Università di Roma La Sapienza, che da anni passa l’estate a insegnare a Phnom Pehn). È la prima volta dal lontano 1906 che la formazione completa del Balletto Reale effettua una tournée in Europa (ci sono state nel 1999, nel 2006 e nel 2011 tournée delle étoiles del Balletto e di formazioni ridotte).
Questa volta, la tournée include non solo quello che potremmo chiamare un gran balletto (anche con canto) in due atti ma anche un concerto antologico di musiche concepite nell’arco di un millennio, da quelle con qualità curative a quelle cerimoniali per i matrimoni, per gli intrattenimenti di corte e canti popolari. Viene offerto, quindi, in due giorni un panorama abbastanza completo che può interessare anche i non specialisti.
Sulla parte musicale: strumenti a percussione e a corda tradizionali insieme a quelli a fiato compongono l’orchestra composta da uomini. Le voci: una donna e due giovani uomini. Tutti presentano una tessitura molto alta, su una linea vocale tendenzialmente acuta tanto da fare pensare ai controtenori della musica europea del Seicento ma anche caratteristici di compositori contemporanei come Péter Eötvös e György Ligeti. Ascoltando questa musica cambogiana sembra di essere alle radici della modernità. Le partiture sono spesso su poche tonalità su cui vengono inserite miriadi di micro-variazioni e, anche a ragione del fatto che sono state trasmesse solo oralmente, includono numerose variazioni (tra cui quelli che potrebbero essere chiamati “pezzi di bravura”). Il balletto – circa due ore con intervallo – presenta il “Fa” come tonalità dominante su cui si inseriscono, oltre alle micro-variazioni e alle improvvisazioni (contenute), circa duecento temi melodici, quasi un anticipo dei liet-motive che trovarono in Wagner la massima espressione. Per chi è uso all’ascolto della musica contemporanea, si avverte un pizzico di John Cage e molto Philip Glass, specialmente quello di Akhenaten, opera che temo non sia mai stata messa in scena in Italia.
Veniamo al balletto. Ha marcatamente un carattere sacrale. La prima parte tratta delle lotte tra Giganti e Divinità per la conquista di un filtro di immortalità (un po’ come L’Oro del Reno); il conflitto viene risolto dal Dio monoteista (Visnù. La religione della Cambogia è un buddismo tollerante, con venature di induismo). La seconda narra la creazione del Regno da Cambogia per matrimonio tra un bel principe e una bellissima semi-Dea.
Un aspetto interessante è che a differenza di altri balletti orientali (anche di quelli “patriottici” cinesi che esaltavano la rivoluzione comunista) non c’è un pizzico di eros (elemento che permea gli spettacoli di teatro in musica giapponese, malese, tailandese). Non solo per il carattere sacro dato alla danza, ma anche perché, in una società a lungo matriarcale, il corpo di ballo era composto esclusivamente da donne; solo di recente danzatori di genere maschile sono stati ammessi ma esclusivamente in ruoli ben definiti (i giganti, gli animali, i saggi anziani). La danza è stilizzata: gambe leggermente aperte ad arcata, curatissimo il gioco di mani e di dita. Magnifici i costumi che, anche al fine di agevolare i movimenti, non hanno bottoni, perché cuciti sui danzatori prima dello spettacolo.
Giuseppe Pennisi
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