Brain Drain. Parola a Marta Ottaviani
Milanese emigrata in Turchia, Marta Ottaviani è corrispondente dell’agenzia Tmnews e collaboratrice di Avvenire e La Stampa. Con lei abbiamo parlato di Istanbul, città dinamica e in forte ascesa, nonostante la burocrazia e il peso ancora forte della tradizione. E di un’Italia che dalla Turchia avrebbe molto da imparare.
Quale sogno inseguivi e cosa cercavi quando sei partita per Istanbul?
Diciamo che la mia partenza è stata dettata dall’opportunità e dalla necessità. Il panorama lavorativo italiano non aveva molto da offrire e, volendomi specializzare nel giornalismo nel settore esteri, pensavo che la Turchia fosse una buona idea. A quei tempi era ancora più sottovalutata di oggi.
Cosa hai trovato?
Un Paese affascinante, sicuramente, ma anche molto difficile. Da capire prima ancora che da raccontare. Una società diversa dalla nostra, che mantiene intatti certi valori, ma alla quale può essere molto difficile riuscire ad adattarsi. L’aspetto più difficile è stato di sicuro quello relativo alla mentalità della gente, ancora fortemente nazionalista, anche nei più giovani. A giocare un ruolo negativo credo sia stato anche l’esito incerto dei negoziati di adesione, che ha provocato un sentimento di chiusura molto forte.
Quali differenze hai riscontrato nel mondo del lavoro turco rispetto a quello italiano?
I nostri due popoli si somigliano molto, in realtà. Una differenza, molto grossa, può essere individuabile nella grandissima esuberanza e voglia di fare che si percepisce in Turchia, appena esci dall’aeroporto. Istanbul è una città molto dinamica, dove si costruisce e si ristruttura di continuo, con tutti i limiti del caso. Si tratta di un Paese a cui non manca la vitalità e l’intraprendenza. Sono sempre di più le persone che aprono la propria attività nei campi più svariati, molto spesso sono giovani. Rischiano, nonostante la burocrazia turca non li aiuti affatto. Se l’Italia, con il suo know-how riuscisse ad avere un po’ più di spirito di iniziativa, sarebbe il primo passo per fare ripartire il Paese. Mi rendo conto che servirebbero riforme profonde a livello nazionale. Ma ci sono settori, come l’artigianato a vari livelli, il restauro e tutto il manifatturiero dove veramente temiamo poca competizione.
Come vivi il tuo essere corrispondente in un mondo di inviati? Che contatti mantieni con l’Italia?
L’Italia, Milano in particolare, è la mia casa e lo rimarrà sempre e il sogno di tornare a casa non muore mai. Vivere all’estero rappresenta una costante esperienza di arricchimento, ma anche una sfida. Istanbul è una città dove ci sono centinaia di corrispondenti accreditati. Confrontarsi con loro è un momento di crescita e di riflessione sui diversi modi di fare giornalismo. Da qualche anno abbiamo fondato il Foreign Press Club, ci troviamo periodicamente e parliamo anche dei problemi del Paese, ovviamente. Con i colleghi turchi c’è un buon dialogo i luoghi di incontro non differiscono.
Quale iter e quali agevolazioni offre la Turchia per la tua professione?
L’iter per l’accredito è in realtà piuttosto laborioso, complice la burocrazia turca che non ha veramente nulla da invidiare a quella italiana, oltre alle normali procedure di sicurezza. Le agevolazioni non sono molte ma ce n’è una preziosissima, anche se ingiusta, a mio modo di vedere: i giornalisti accreditati non pagano i mezzi pubblici e i musei.
Quali le formule per il tuo aggiornamento? Dove studi, chi frequenti, che offerta culturale fruisci?
In un Paese come la Turchia è importante frequentare tutti gli ambienti politici e dell’associazionismo, perché è veramente incredibile le diversa immagine del Paese che viene fuori. Mi riferisco soprattutto a organizzazioni, partiti politici, Ong che negli ultimi anni stanno conoscendo un nuovo vigore.
Com’è la scena culturale di Istanbul, paragonata a quella milanese (teatri, cinema, gallerie, biblioteche, musei)?
Sono stati fatti molti progressi, ma siamo ancora molto lontani dagli standard a cui è abituato una persona che vive in una qualsiasi capitale europea. Milano è nettamente, di gran lunga superiore sotto tutti gli aspetti. Le sale da ascolto e i teatri sono ancora molto scarsi, l’offerta musicale sta migliorando ma rimane nettamente al di sotto della media europea. L’unica cosa positiva è che a Istanbul è molto più facile vedere un film in lingua originale.
Come commenti le politiche culturali italiane? E cosa pensano i turchi ,dell’italia?
L’Italia ha un potenziale enorme che deve imparare a sfruttare e sembrerà strano ma i primi che devono iniziare a farlo sono proprio gli italiani. I turchi ci adorano, per loro noi siamo il Bel Paese per eccellenza. Apprezzano il nostro stile di vita, la nostra cultura. Ma non si vive di rendita nella vita. A noi il compito di saper sempre più valorizzare un patrimonio e delle potenzialità veramente esplosive. So che sembra banale, ma basterebbe meno burocrazia e un sonoro scatto di orgoglio. Su questo, i turchi avrebbero sicuramente buoni consigli da darci.
Neve Mazzoleni
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