Jeddah Art Week. Il contemporaneo in Arabia Saudita
In un Paese difficile come l’Arabia Saudita, la gente di Jeddah si ritaglia spazi e difende l'eredità della sua cultura, da sempre aperta e tollerante. Le manifestazioni e gli eventi preparati per la settimana dell’arte contemporanea, che si è tenuta a inizio febbraio, davano la sensazione di essere in una metropoli americana.
ALLA CORTE DELLA PRINCIPESSA
Per chi ha visto la mostra Fast Forward nel febbraio 2015 alla galleria 21,39, creata dal SAC – Saudi Art Council, che spiegava la storia e lo sviluppo dell’arte contemporanea nel Regno dell’Arabia Saudita, è stato più facile comprendere la portata di questo fenomeno, che è cresciuto al ritmo accelerato della globalizzazione. L’istituzione della Fondazione Al-Mansouria, mecenate della creatività, e quella del SAC, composto da galleristi e collezionisti, hanno permesso una crescita delle arti visive e della cura delle tradizioni artistiche sempre maggiore.
È proprio nella sede della Fondazione Al-Mansouria, istituita dalla principessa Jawaher Bint Majid per sostenere l’arte in Arabia Saudita, che si è aperta la settimana dell’arte. La principessa – presidente della Fondazione e del SAC – ha mostrato personalmente ai suoi ospiti la collezione di artisti arabi che con competenza ha saputo selezionare.
Il successivo appuntamento è la preview alla Hafez Gallery di Qasawara Hafiz per la personale dell’artista Moneirah Mosley e l’invito del gallerista a visitare la sua collezione privata di artisti del Medio Oriente, che include opere reperite da ogni parte del globo da più di vent’anni.
UNA MOSTRA DA FAR CIRCUITARE
A seguire, opening nella Galleria 21,39 con Earth an Ever After, emblematico titolo che sottolinea tutto il pensiero del percorso di Jeddah Art Week 2016, ormai arrivata alla sua terza edizione. La mostra, commissionata dal Saudi Art Council e curata da Mona Khazindar a Hamza Serafi, propone le mappature interiori del creato in tutte le loro declinazioni. Un’operazione condotta con spirito innovativo, razionalità e logica. Diverse e molteplici le predisposizioni espressive, gli approfondimenti fenomenici, psicologici e ideologici da parte dei 39 artisti coinvolti. Per fare qualche nome: il nostro Giovanni Ozzola che presenta Routes, Manal AlDowayan in Sidelines, Pascale Marthine Tayou con The Cloud, Mohammad Haider con Song of Camps, Saddek Wasil con The shopping cart, Zaman Jassim con The Others.
Alcune opere sono prese in prestito da grandi gallerie come l’italiana Galleria Continua, la Cuadro Gallery di Dubai, Galerie Imane Fares di Parigi. Sponsor internazionali di grande prestigio, come UBS Saudi Arabia, Van Cleef & Arpels, Mercedes Benz, Hilton. Una mostra meritevole delle più importanti piazze internazionali.
GIOVANISSIMI ARTISTI IN UN HANGAR
Nei giorni seguenti è un susseguirsi di sorprese. La prima è una mostra allestita in un garage messo a disposizione dal proprietario, chiamata Al-Hangar. Un’officina creativa di giovanissimi artisti, ricca di spunti innovativi, come la scritta al neon che significa “io sono arabo” con il puntino acceso e “Io non sono arabo” con il puntino spento. Il gigantesco specchio che riflette una luce e, se provi a seguirla, ti ritrovi illuminato il cuore dalla scritta “Allah ti è vicino”. Una stanza buia nella quale senti delle canzoni accompagnate da un suono come di insetti, di campane, e percepisci l’odore del cardamomo, il caffè arabo. Sono i canti delle donne che pestano il caffè riproposti come esperienza sensoriale. Titolo dell’opera: Sound of Cardamon.
I visi di uomini che non hanno mai avuto un’immagine del proprio volto e neanche un certificato di nascita, ma che grazie a un nipote artista, che raccoglie le testimonianze di chi li ha conosciuti e ne fa l’identikit, ora hanno un’identità raffigurata e un certificato di morte. Le locandine di film che verranno girati in futuro (si auspica) in Arabia Saudita, ma che intanto hanno un nome e una casa di distribuzione (di fantasia) – in Arabia Saudita non si producono film e non ci sono cinematografi.
Giovani talenti che cercano di ricostruire le radici e la cultura dei loro luoghi e intanto svelano le loro speranze per il futuro. Scopriamo poi che questo sarà lo spazio più visitato durante la settimana. Idee fresche, giovani, a tratti ingenue ma mai scontate e pronte per essere elaborate. Alcuni nomi tra gli artisti presentati all’Hangar: Nasser Al Salem, Ahmad Angawi, Monira Mosley, Arwa Alneami.
DALL’ATTICO AL DESERTO
Nella stessa giornata, un prestigioso super attico sulla corniche si schiude per mostrare la superba collezione di artisti arabi e non. Incredibile il posto, pensi di essere nel cuore della Grande Mela per poi renderti conto che hai la visone a perdita d’occhio del caldo mar Rosso.
L’ opening alla ATHR Gallery di Mohammad Hafiz è per le 19,30 con la personale del palestinese Ayman Yossrl Daydban, Show me the light. In mostra vecchi e nuovi lavori che abbracciano oltre trent’anni di pratica dell’artista. Attraverso la visione della maggior parte delle sue opere ci appare chiaro il tentativo di avere una comprensione parallela di identità e di appartenenza per la quale l’autore usa le sue capacità di trasformare ed esportare un oggetto dalla sua funzione prevista per evidenziare le problematiche sottostanti.
Ma la più entusiasmante delle esperienze ci attende per il giorno successivo. È qui che si comprende a fondo il significato di Earth and Ever After, che è realmente il fil rouge di tutto il percorso artistico proposto. Questo passo tratto da versi del Corano si rivela nel luogo che andiamo a visitare. Raggiungiamo con un aereo il sito archeologico Mada’in Salih dove ci immergiamo nella storia di questa parte del globo. Le sabbie del deserto custodiscono le antiche necropoli nabatee: è un sito turistico, ma gli unici turisti siamo noi. Non è facile per chi non sia saudita raggiungere questi luoghi.
NEL CENTRO STORICO DI JEDDAH
Siamo all’ultimo giorno della settimana dell’arte. Al-Balad, il centro storico di Jeddah, patrimonio dell’Unesco, offre due mostre. La prima, Al-Mangour: Loved & Beloved dell’artista e designer Ahmad Sami Angawi, figlio del grande architetto e profondo conoscitore dell’architettura islamica, che ci spiega i significati e la bellezza del Mangour, il mestiere dimenticato Hijazi. La mostra si apre con alcuni pezzi antichi, che introducono l’argomento per poi gettarsi nella spiegazione dell’uso della geometria per la realizzazione di queste “griglie” usate nelle finestre di legno intarsiate geometricamente che decorano le case di sabbia e corallo del Balad.
La seconda, The Everlasting now dell’artista Mohamed Al Khatib, conosciuto come Emy Kat, presenta una storia particolare nella sua carriera. Inizia come consulente industriale per diventare fotografo nel 1993 a seguito della morte del padre, che ostacolava le sue inclinazioni. Da allora prende corpo la sua ricerca di esploratore di culture, patrimoni naturali, paesaggi e trasformazioni spirituali. Qui ci propone una documentazione che ha lo scopo di catturare la bellezza del patrimonio dell’antica area del Balad, che nonostante la decadenza dello stato nel quale si trova, ancora mantiene intatto il suo fascino. Le foto esposte ritraggono particolari superbi delle antiche costruzioni e stati di abbandono estremo di alcune di esse, ma nello stesso tempo riempiono di nostalgia per la bellezza dimenticata.
La forza di questi due progetti, supportati dalla ATHR Gallery, sta nell’intenzione di recuperare la cultura e la tradizione locale e hanno l’ambizione di far comprendere che questo antico territorio, considerato pericoloso e che versa in uno stato di totale abbandono, è patrimonio della nazione oltre che dell’Unesco, ed è destinato a scomparire senza cure e interesse da parte delle autorità.
IL POTERE ELEGANTE DELL’ARTE
Finito questo cammino, ci si trova di fronte a una sorta di gioco percettivo, un dialogo ideale posto dalle gallerie, dalla fondazione, dal consiglio e dagli artisti con il pubblico. L’atmosfera ora è rilassata, si capisce che tutto è andato per il verso giusto. Le aspettative degli addetti ai lavori sono state soddisfatte, gli invitati a questa kermesse sono compiaciuti e fieri di averne preso parte.
Molti di noi vengono da Paesi stranieri e nessuno si sarebbe mai aspettato di trovare questo clima artistico vivo, attento alle tradizioni e nello stesso tempo affacciato alle nuove generazioni. Un clima fervido che fa capire quanto l’arte abbia il potere elegante di cambiare il futuro.
Rossella Alessandrucci
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