Firenze Suona Contemporanea. Parola a Erwin Wurm
La sua opera video ha accompagnato il concerto di apertura della nona edizione del festival internazionale di musica contemporanea coniugata all'arte visiva, in corso fino al 29 settembre. Abbiamo intervistato il suo autore, l’artista austriaco Erwin Wurm, su temi come il corpo, il tempo e l’umorismo.
Fallen Falls è il titolo della performance che nasce dalla tua collaborazione con il compositore Andrea Cavallari. Una videoinstallazione che, in occasione della nona edizione di Firenze Suona Contemporanea, è stata accompagnata dall’ensemble austriaco Klangforum Wien. Il concetto portante del concerto, che unisce musica e arte visiva, è la “leggerezza”. Che lettura ne hai dato?
Sono partito riflettendo sul movimento, che è un concetto molto presente nel mio lavoro. Ho recuperato oggetti d’uso quotidiano: una sedia, una giacca, dei bicchieri, e ho iniziato a filmarli in slow motion mentre li lanciavo nel mio studio. Volevo che fluttuassero nello spazio, levitando. È un espediente semplice ma contribuisce in maniera molto efficace a dilatare la percezione del tempo e ad espandere la realtà. Andrea successivamente mi ha chiesto di scrivere una poesia, che durante il concerto è stata recitata dalla soprano Giulia Peri.
Il movimento e il tempo: in che modo questi due concetti si incontrano nel tuo lavoro?
La società in cui viviamo produce e consuma freneticamente gli oggetti. Nelle mie sculture ho cercato più volte di immortalare il valore che diamo al tempo. Con le One minute sculptures ne ho restituito la dimensione effimera. Analogamente ho fatto con le azioni, domandandomi, mentre osservavo la realtà, se potessero evolvere in sculture. In questo modo ho iniziato a riflettere sul movimento, che è riconducibile al cambiamento di posizione del corpo nello spazio. Certamente esiste una connessione tra i due concetti, ma non nel mio lavoro, perché io mi concentro sui movimenti statici.
Slow motion e levitazione sono un modo di interpretare l’atto di cadere?
Certamente. Il titolo della performance, Fallen Falls, esprime questa idea. Nella videoinstallazione ho cercato, attraverso la slow motion e la levitazione, di attribuire un significato positivo alla caduta, che generalmente viene percepita negativamente.
Non è la prima volta che rifletti su tematiche come il peso e la leggerezza. Che cosa rappresentano per te da una prospettiva visiva e filosofica?
Con le mie sculture mi interessa porre delle domande. Per questo motivo introduco istanze psicologiche o filosofiche, che sono riconducibili al tempo e al luogo in cui sono cresciuto e vissuto. Ho uno sguardo dichiaratamente soggettivo.
Esprimi un punto di vista critico sulla società occidentale. È un atto politico?
Non mi considero un artista politico ma un uomo che vive in un Paese, con un governo e un modo di intendere la realtà. Introduco nel mio lavoro delle istanze sociali perché credo che manifestare il proprio pensiero sia una responsabilità di ciascuno di noi.
L’utilizzo di oggetti provenienti dalla vita quotidiana, per comporre situazioni assurde e surreali, è ricorrente nella tua produzione. Sei stato influenzato da altri media?
Fumetti e fantascienza sicuramente, per quanto non fossi un loro consumatore abituale, hanno lasciato una forte impronta su di me. Quando ho cominciato a guardare la realtà da una certa prospettiva, mi è apparsa strana. Così ho scelto di incorporare questo sguardo, esattamente come se provenissi da un altro pianeta. È un modo per cambiare le cose o per raggiungere una verità più profonda.
La tecnologia ci prospetta uno scenario sociale, umano, professionale dove “nulla è per sempre”. C’è ancora spazio per lo humour?
Direi che ce n’è ancora più di ieri. Abbiamo creato un mondo luccicante e favoloso, ma che può fare molta paura. Sappiamo che un giorno tutto finirà, la nostra presenza è temporanea, il nostro pianeta, il sistema solare sono a rischio e probabilmente destinati a scomparire. La ricerca del senso, la risposta alla domanda “Perché facciamo quello che facciamo?”, può avere una risposta semplice: rendere il nostro tempo piacevole.
Che ruolo riveste il corpo nelle tue sculture?
Considero il corpo come un oggetto, anche se nei miei lavori l’uomo rappresenta un’entità da indagare. Ci sono molti aspetti della vita che mi interessano. La psicologia per esempio. È come quando ci innamoriamo: alla corporeità corrisponde il bisogno di condividere emozioni, opinioni e visioni del mondo.
Le tue opere sono fuori scala, hanno prospettive irreali e volumi gonfiati. A che mondo appartengono? Sembrano quasi fuoriuscite dalle fiabe…
Non c’è un retroterra fiabesco nelle mie sculture, si tratta di riflessioni formali. Aggiungere e togliere peso per me significa modificare il volume della realtà (quindi il modo di guardarla) a partire da una prospettiva scultorea.
Perché hai scelto l’umorismo per veicolare i tuoi messaggi?
Personalmente non mi considero un “joke teller”. Quando ho realizzato il set delle automobili, non volevo divertire, anche se è stato interpretato in questo modo. Il mio scopo era combinare due sistemi: biologico e tecnologico, per parlare del rapporto tra l’uomo e la macchina. Un giorno il nostro corpo sarà innestato di tecnologia. Quindi la mia prospettiva era molto critica e interrogativa.
Che cosa pensi del futuro?
Spesso scherzo con gli amici, chiedendogli: “Se aveste una macchina del tempo dove andreste?”. La maggior parte risponde che vorrebbe tornare dal padre e dalla madre. Io, invece, vorrei lanciarmi nel futuro, perché lo trovo entusiasmante e spaventoso allo stesso tempo.
Carlotta Petracci
www.firenzesuonacontemporanea.it
www.erwinwurm.at
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati