Considerata spesso come meta secondaria rispetto a Bruxelles, Anversa è la città del Belgio che più stupisce sotto molteplici punti di vista, dall’alta cucina dei suoi ristoranti (le Fiandre sono la patria dei Flanders Kitchen Rebels, giovanissimi e innovativi chef stellati) alle case-museo ricche di storia (su tutte, quella del fiammingo Rubens), dai brand di moda più ricercati alle sue campagne incontaminate.
Un benessere e un high profile che tocca tutti i settori. D’altronde stiamo parlando della capitale europea dei diamanti, in cui il benessere economico è diffuso senza troppa distinzione di età e fascia sociale.
IL FUTURO ALL’M HKA
Quello che forse viene meno automatico associare ad Anversa è il suo stretto rapporto con l’arte e l’architettura contemporanee, un aspetto in continua evoluzione e che sta cambiando l’assetto di alcuni quartieri, con proprietà private di artisti e collezionisti, mostre temporanee che ne fanno un fulcro europeo della cultura, ancor più rispetto alla capitale che, incredibile a dirsi, non possiede ancora un museo pubblico d’arte contemporanea (ma vanta molteplici realtà private di grande prestigio, oltre al Wiels, che tuttavia non ho lo statuto di museo).
Se, durante questa calda estate 2017 quello che andate cercando è una full immersion artistica, Anversa è in grado di offrirvi in tre giorni teatri, parchi, musei e collezioni private, tutte all’insegna di un arte contemporanea non scontata.
A soli trenta minuti dall’aeroporto di Bruxelles (poco più di quanto non ci si metta a raggiungere il centro della capitale belga) si raggiunge il capoluogo delle Fiandre; si può partire così con il tour ideale. Prima tappa non può che essere il M HKA – Museum of Contemporary Art, in cui, alla collezione permanente (da James Lee Byars a Marlene Dumas, da Keith Haring ad Anish Kapoor, fino a Yang Fudong, Xu Zhen, Narcisse Tordoir, Goshka Macuga, Juan Muñoz), viene affiancata durante l’anno una serie di temporanee. Quest’estate (precisamente fino al 17 settembre) è possibile infatti visitare l’imponente esposizione A Temporary Future Institute, a cura di Anders Kreuger e Maya Van Leemput, dedicata alle immagini provenienti dal futuro, tema che hanno sviluppato gli artisti Michel Auder, Miriam Bäckström, Kasper Bosmans, Simryn Gill, Guan Xiao, Jean Katambayi Mukendi, Alexander Lee, Nina Roos, Darius Žiūra.
A CASA DI PANAMARENKO
Nella collezione permanente del museo sono presenti anche alcuni lavori di Panamarenko, visionario artista di Anversa, dove ancora oggi risiede, attivo fin dagli Anni Settanta.
Nel pomeriggio, prenotando anticipatamente sempre presso l’M HKA, a completamento della visita è possibile entrare nella casa natale di questo creativo, in cui ha abitato per gran parte della vita assieme ai genitori. L’edificio in centro città si distingue già dall’esterno per la singolare costruzione metallica che svetta sulla sua cima: si tratta di una piattaforma (inutilizzabile sia per la dimensione ridotta che per il divieto di volo a una certa altezza) per l’atterraggio degli elicotteri. Un eloquente anticipo dell’opera di Panamarenko che si palesa completamente all’interno dell’abitazione: tra eliche e scheletri di biciclette, schizzi di velivoli improbabili e insetti cyborg, quello che ne esce è il ritratto di un artista adulto e bambino, da sempre intento a dare forma ai suoi voli immaginari radicati fin dall’infanzia.
GITA A MIDDELHEIM
Se il tempo ballerino delle Fiandre lo consente, consigliamo di dedicare la seconda giornata alle visite open air. Di grande fascino, uscendo dalla città, il Middelheim Museum, un esteso parco dove, accolti dall’iconica opera Misconceivable dell’austriaco Erwin Wurm (una barca pronta a liquefarsi nel laghetto), è possibile fare un pic-nic o rilassarsi tra opere di August Rodin, Giacomo Manzù, Jean Arp, Marino Marini, Alexander Calder, Max Bill, Luciano Fabro e di nuovo Panamarenko.
Fino al 24 settembre qui si possono vedere le sculture della mostra temporanea Some time, solo exhibition dedicata allo scultore Richard Deacon, vincitore del Turner Prize. In questa retrospettiva, la più grande dedicata all’artista britannico, sono presenti trentuno opere, tra monumentali e miniature, in rappresentanza dei temi portanti del suo lavoro, quelli di produzione e riproduzione; tanto che, tra i lavori, è esposta la riproduzione creata ad hoc in acciaio inossidabile dell’opera Never Mind, realizzata da Deacon e acquistata dal museo nel 1993, a testimonianza di quanto il rapporto tra il museo e l’artista abbia origini profonde.
IL MARE E L’ARCHITETTURA
Nel pomeriggio si torna verso il centro, più precisamente verso il porto, quartiere colmo di locali modaioli e scenografici ristorantini, dove regna incontrastato il MAS – Museum aan de Stroom, ovvero il Museo del Mare. All’interno, fra installazioni, collezione e progetti temporanei, si celebra il rapporto tra la città, il mare e il fiume Schelda; un autentico omaggio che Anversa e i suoi abitati hanno fatto all’acqua, a cui devono il loro agio e la loro ricchezza.
Ma, senza accedere al percorso espositivo, il MAS rimane meta d’obbligo per gli appassionati d’architettura: non solo dalla cima dell’edificio, cui si accede gratuitamente, si vede l’intero skyline cittadino, in un’alternanza armoniosa tra storia e modernità, con il plus del fascino algido del Mare del Nord; ma è lo stesso stabile, che porta la firma dello studio Neutelings Riedijk Architects, ad essere opera d’arte (e la cornice più gettonata per i selfie scattati ad Anversa).
A poca distanza sorge la nuova Port House di Zaha Hadid, inaugurata nel 2016, quando l’archistar era già scomparsa. Questa ex caserma dei pompieri (forte il richiamo all’edificio che si trova nel Vitra Campus di Weil am Rhein) ospita oggi i lavoratori del porto e vede svettare sopra la propria corte centrale un volume vetrato e sfaccettato che ricorda la prua di una nave e tocca un’altezza di quarantasei metri.
ECLETTICO VERVOORDT
Ancora arte contemporanea per il terzo giorno: nuovo polo cittadino, in periferia, è la Axel Vervoordt Gallery. All’interno di un distilleria abbandonata, in un ex sito industriale, l’eclettico collezionista, imprenditore, dealer e immobiliarista ha creato il suo headquarter culturale.
Mentre a Venezia è in corso la sua ultima mostra (curata a quattro mani con Daniela Ferretti) al Museo Fortuny, fino al 26 novembre, in questo nuovo progetto belga trovano spazio una collezione permanente internazionale (con nomi come El Anatsui, Raimund Girke, Ann Veronica Janssens, Dominique Stroobant, Marco Tirelli, Norio Imai, Angel Vergara, Kimsooja, Markus Brunetti, Chung Chang-Sup) e temporary exhibition. Dopo quella d’inaugurazione, dedicata a Kazuo Shiraga, durante l’estate è in corso una retrospettiva su Michel Mouffe (fino al 19 agosto).
IL LABORATORIO DI JAN FABRE
Infine, a conclusione di un viaggio ricco d’arte e d’ispirazione, si può far visita (in gruppi e solo su prenotazione) al Troubleyn Laboratorium, il teatro laboratorio dell’artista, regista, coreografo e scenografo Jan Fabre – anche lui in mostra a Venezia, all’Abbazia di San Gregorio, fino al 26 novembre –, a cui Anversa ha dato i natali e che qui ha ideato le sue opere più celebri. All’esterno di quello che è un ufficio ma anche una casa per artisti e ballerini provenienti da tutto il mondo, sopra un anonimo cancellone, un neon riporta la scritta “Troubleyn”; sotto una targa afferma “Only art can break you heart, only kitsch can make you rich”, letteralmente “Solo l’arte è in grado di spezzarti il cuore, solo il kitsch può farti diventare ricco”.
All’interno, un palcoscenico apparentemente in decadenza e, tra infiniti corridoi, si può di tanto in tanto osservare le prove dei danzatori e i complementi scenografici di spettacoli ormai leggendari, ma anche avere la sensazione di trovarsi a sorpresa in un autentico, nuovo, insolito museo belga. Tra le stanze, sulle scale e negli angoli più remoti ci si imbatte in opere di Marina Abramović (che ha imbrattato la cucina del Troubleyn Laboratorium con inquietanti scritte di sangue di maiale) e Bruna Esposito (con la sua Suonano alla porta, una porta colma di campanelli attaccati a fili di ferro). E altri grandi nomi, come quelli del regista e scenografo italiano Romeo Castellucci, del drammaturgo e pittore statunitense Robert Wilson, dello stesso Jan Fabre e altri settanta artisti circa.
Un viaggio che si può arricchire con altre decine di piccole gallerie, showroom di giovani stilisti emergenti e i più acclamanti furniture designer del momento (che riscuotono grandi apprezzamenti anche durante il nostro Salone del Mobile milanese), scoprendo una città non particolarmente grande (circa 507mila abitanti) ma di respiro europeo, in continua evoluzione, che invita quindi a ritornare, per ritrovarla sempre cambiata.
L’AVANGUARDIA DELLA MODA
La città dei diamanti e il secondo porto d’Europa: Anversa è la città dello scambio prezioso, dove il commercio è naturalmente internazionale, in una zona di cerniera fra il Baltico e il Mediterraneo. È il luogo dove arte, design e moda si confrontano in un mercato perenne, creando l’atmosfera visionaria in cui nasce, cinquantacinque anni fa, una delle scuole di moda più importanti al mondo.
L’Accademia di Moda è parte dell’Accademia Reale di Belle Arti di Anversa ed è frutto della volontà di una grande direttrice che ha saputo vincere l’opposizione di chi, in quel momento, non riteneva che la moda fosse all’altezza delle altre discipline artistiche. Mary Prijot era tanto determinata quanto severa, ha impostato una formazione che ancora adesso gode della sua volontà di caratterizzare artisticamente la figura del fashion design. In una delle più felici quadrature astrali della storia della moda, sulla sua traiettoria si incrociano quelle di sei studenti straordinari e l’uragano punk che, nella seconda metà degli Anni Settanta, da Londra investe tutto il mondo.
Nel 1977 entrano in Accademia Ann Demeulemeester, Dirk Bikkembergs, Walter van Beirendonck, Dirk van Saene, Marina Yee e Dries Van Noten che, con la loro fama di “giovani selvaggi”, spostano l’attenzione sul Belgio, togliendo la caratteristica di sperimentazione ai giapponesi e costruendo un’identità di avanguardia ancora insuperata. L’impostazione classica filo-francese della Prjiot fu una grande opportunità di formazione, di quelle che costringono a contestare con grande capacità un modello che Van Noten descrive come terrorizzante: “Madame Prjiot riteneva che, per le ragazze, i capelli lunghi fossero trasandati. Voleva che li portassero in uno chignon o pagava lei stessa il parrucchiere per farglieli tagliare. Era convinta che al mondo l’unica vera creatrice di moda fosse Coco Chanel”. Così, diplomati in un luogo comunque lontano dalle città della moda, i sei attirarono l’attenzione noleggiando un furgone e parcheggiandolo vicino alla fiera di Londra, spendendo gli ultimi soldi in pubblicità: così portarono alla fama i loro nomi e Anversa. Erano i primi Anni Ottanta.
Nel 1985 la guida della Accademia passa dalla Prijot a Linda Loppa, mantenendo l’impronta artistica ma dando spazio all’avanguardia, che ancora oggi attira studenti da più di cinquanta nazioni. Sono molti i nomi di successo che provengono da questa istituzione, che costa meno di mille euro l’anno per uno studente europeo e seimila per gli extraeuropei; nomi come Demna Gvasalia, lo stilista georgiano alla guida di Balenciaga, nato nel 1981, l’anno in cui i sei ragazzi selvaggi si laurearono. Alcuni rimangono legati ad Anversa e all’Accademia: Walter Van Beirendonck è a capo del design di moda della scuola dal 2006, Haider Ackermann fa base nella zona sul fiume Schelda.
Una storia che è parte essenziale del Mode Museum, inaugurato nel 2002 con la direzione della stessa Linda Loppa. Un museo della moda incentrato sul fenomeno belga, ma che rappresenta un modello importante di pari dignità espositiva fra arte e moda, così come avviene per la sfilata di fine anno dei laureati all’Antwerp Fashion Show.
‒ Simone Zeni
ha collaborato Clara Tosi Pamphili
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #38
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