Turismo + Agricoltura, un matrimonio sbagliato. Il Consiglio di Stato boccia il Ministro Centinaio
Il leghista Gianmarco Centinaio, Ministro alle Politiche Agricole, ha ottenuto l’accorpamento del Turismo al suo dicastero. Un’innovazione a cui teneva molto. I giudici del Consiglio di Stato, però, si dicono “perplessi”. E fanno una disamina severa del testo che regola la strana liaison…
Lo avevamo anticipato a giugno 2018, prima che la riforma vedesse la luce. Cosa che accadde poco dopo. Il desiderio nel neo Ministro alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il leghista Gian Marco Centinaio, diventava realtà: occuparsi di turismo, come faceva in passato, quando lavorava per Club Med, e come continua a fare parallelamente all’attività politica, nel ruolo di direttore commerciale di un grosso tour operator. Un appassionato vero. A cui però, nel gioco delle assegnazioni di poltrone e delle spartizioni di potere, non era toccato il Dicastero dei Beni Culturali (a cui nel 2013 era stato accorpato il Turismo, rimasto senza casa e senza autonomia dopo l’abrogazione sancita da uno dei referendum del ’93), andato invece al tecnico in quota grillina Alberto Bonisoli.
UN ACCORPAMENTO CHE FUNZIONA?
E allora che fare? Semplice. Spostare di nuovo il camaleontico Ministero senza dimora: dalla Cultura all’Agricoltura. Che c’entra? Tantissimo, s’affannò a spiegare Centinaio, che questa battaglia la portava avanti da tempo: le scelte e i percorsi dei viaggiatori riguardano cultura, benessere, sapere e sapori. Monumenti e specialità enogastronomiche, spettacoli e coltivazioni biologiche, teatri e fattorie, boschi, spiagge, cantine, cucine e musei. Affinità elettive, nel segno del Made in Italy. L’identità dei territori, in fondo, passa soprattutto da qua. Per Centinaio un colpo di genio, una verità degna di Lapalisse, il modo migliore per valorizzare le tante, meravigliose province d’Italia, traboccati di bellezze per gli occhi ed il palato.
A noi – e non solo a noi – parve in realtà una cosa tirata coi denti. Come e perché accorpare due entità così diverse, con obiettivi, strumenti, procedure, competenze tecniche, problematiche e regolamenti lontanissimi? Un Ministero antico, solido, radicato, con un raggio d’azione enorme, e un altro che è ancora evanescente, cangiante, in cerca di identità. Stessa cosa si potrebbe affermare nel caso del Mibac, ma le attinenze e le assonanze erano assai maggiori, dal momento che di cultura si discute moltissimo in relazione alle rotte del turismo, e che di produzione di economie, strategie di attrazione del pubblico, risorse territoriali, occorre ragionare anche a proposito dei beni culturali. Potenziare entrambi i fronti era l’obiettivo, attraverso una forma di continuità e un tentativo di regia coordinata.
Meglio sarebbe, va da sé, superare il risultato di quel referendum poco fortunato e tornare alle origini: un ministero tutto suo, al Turismo, farebbe solo bene. Ma tant’è.
LA BOCCIATURA DI PALAZZO SPADA. GLI STRAFALCIONI
Adesso, a sei mesi dall’approvazione del decreto che rendeva effettivo l’inedito trasloco, arriva una doccia fredda. Il Consiglio di Stato – interpellato lo scorso 18 dicembre dal Dipartimento degli Affari giuridici di Palazzo Chigi – si è pronunciato sulla vicenda, dando parere negativo.
Intanto, nei primi punti della disamina, sono alcune superficialità e clamorose dimenticanze a venire evidenziate: “non è presente la “bollinatura” della Ragioneria generale dello Stato, che deve essere acquisita”, spiegano i giudici, ma non viene neanche “richiamato l’art. 1, comma 9, del decreto-legge n. 86/2018, che dovrebbe essere invece richiamato in quanto costituisce la base giuridica per adozione del testo in esame”, senza considerare che “il testo è privo del titolo, che va inserito”. A un certo punto la penna rossa segna persino gli errori di sintassi: “Al comma 1, ultimo periodo, si segnala l’ellissi di un elemento della proposizione, poiché la frase inizia con la espressione “mercato del lavoro” ma la stessa non funge né da soggetto, mancando il verbo, né da eventuale complemento”. Imbarazzante.
IL TURISMO ANCELLA DELL’AGRICOLTURA
Dichiarandosi quindi “perplessi”, eccoli approfondire il cuore della vicenda: “il turismo non può essere riguardato come funzione ancillare di altre funzioni statali, siano esse quelle riguardanti i beni culturali siano quelle riguardanti l’agricoltura, l’alimentazione e le foreste, ma semmai come legante di un coordinamento complesso tra tutte le forme di presentazione e di produzione del territorio italiano nella loro potenzialità di fruizione turistica“.
Nello specifico è la modalità con cui è stato formulato il decreto a non aver convinto, poiché dai testi si evincerebbe una subordinazione del Turismo stesso rispetto alle dinamiche e alle esigenze dell’Agricoltura. L’impianto generale sembra cioè caratterizzato da una “funzione servente del turismo a favore dello sviluppo delle attività agricole, alimentari e forestali, piuttosto che dalla istituzione di un luogo amministrativo di gestione del turismo italiano (per la competenza statale), come sicuramente era l’intenzione del Legislatore”.
Insomma, l’hanno scritto male, malissimo. O forse è accaduto quel che era facile prevedere e che noi stessi avevamo immaginato, scrivendo ai tempi di un comparto ministeriale “privo di una forma chiara e avvezzo a camaleontiche trasmutazioni”, che dal colosso agricolo sarebbe stato “certamente fagocitato e sopraffatto”.
SE MANCA UNA VISIONE. GIUSTO UN ‘COPIA E INCOLLA’
Al decreto del governo manca dunque una visione equilibrata e armonica, un bilanciamento. E il Consiglio di Stato su questo tasto ci va giù duro: “Dal testo emerge non tanto un’opera di coordinamento tra funzioni di amministrazione attiva nel settore agricoltura (nei limiti della competenza statale) con la funzione turistica (anch’essa nei limiti della competenza statale) intesa in senso generale, quanto piuttosto una mera sommatoria di competenze spostate tra direzioni generali quasi con la tecnica del “copia incolla”, ma non esattamente corroborate da una visione strategica d’insieme che vada oltre la visione settoriale propria del ministero“.
Da capire, a questo punto, se una formula diversa e convincente sia possibile: la strana liaison è destinata a trovare un senso o resterà un’abortita ambizione personale? Occorre identificare una ratio, un metodo, un’utilità vera. Passioni e curriculum di un pur motivatissimo Ministro non bastano a far funzionare la nuova architettura di governo.
E sarà la Presidenza del Consiglio, adesso, a prendere in mano la questione e a “valutare nella sua responsabile discrezionalità l’opportunità di una rivisitazione del testo nel senso indicato, nonché l’opportunità dell’ulteriore corso del provvedimento con gli attuali contenuti”. Riscrivere o ignorare il parere dei giudici? Centinaio – che non molla di un centimetro – assicura che il governo “in spirito di totale e leale collaborazione istituzionale, sta rivedendo il testo alla luce delle osservazioni formulate“, ma che tutto sommato “non si è tratta di una bocciatura“. Secondo il Ministero delle Politiche Agricole, che ha risposto con una nota, si tratta solo di “meglio esplicitare le ragioni dello schema come proposto“. Sarà. Qualche aggiustamento quindi, ma la sostanza resta.
L’era del Mibact è in ogni caso tramontata, ma quella del Mipaft non decolla ancora. Non c’è pace per quella T residua, in cerca di un’identità e una collocazione. E intanto i dati sul turismo italiano fanno ben sperare. Secondo una ricerca condotta da Confturismo e Istituto Piepoli, pubblicata nella prima settimana di gennaio 2019, il 2018 è stato un anno positivo e il prossimo si prevede ancora migliore: il 73% degli italiani è andato in vacanza, il 6% in più rispetto all’anno precedente, con una spesa superiore rispetto al 2017 per il 24% degli intervistati, mentre solo il 12% avrebbe speso meno. La meta preferita? L’Italia, per l’80% dei viaggiatori.
– Helga Marsala
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