Il 6 gennaio 1907 inaugurava a Roma, in via dei Marsi, la Casa dei Bambini di Maria Montessori, che così descriveva questo primo straordinario esperimento tuttora attivo: “La magnifica idea era di riformare un quartiere pieno di rifugiati e misera gente. V’erano operai disoccupati, mendicanti, prostitute, condannati appena usciti dal carcere, i quali tutti avevano cercato rifugio tra le pareti di case rimaste incompiute a causa della crisi economica. Il progetto, ideato dall’ingegnere Talamo, si proponeva di comperare tutte quelle mura, quegli scheletri di case e completarli man mano. Questo piano fu accoppiato con la idea veramente mirabile di raccogliere tutti i bambini al di sotto dell’età scolastica in una specie di ‘scuola nella casa’. Ogni casa popolare doveva possedere la scuola”.
Da qui vorrei tracciare un percorso personalissimo, caotico e mai esaustivo, all’interno di una delle zone più intense della Capitale: San Lorenzo. Il quartiere – in cui Elsa Morante ambienta parte de La Storia – nasce intorno alla metà degli Anni Ottanta dell’Ottocento per ospitare operai, artigiani e ferrovieri ed è ora delimitato da tre eccellenze, il Cimitero Monumentale del Verano, la Città Universitaria e le Mura Aureliane. Almeno una volta al mese faccio un giro al Verano (inaugurato nel 1812 su progetto di Virginio Vespignani) che, oltre a testimoniare attraverso una complessa stratificazione l’evoluzione della cultura architettonica nel tempo, è un museo a cielo aperto da percorrere a piedi o in bici, tra le opere di Duilio Cambellotti e Mirko Basaldella. Tra i luoghi dove riposano poeti, scrittori, musicisti, attori, registi. Tra la vegetazione che cresce anarchica e indisturbata, una libera giungla in quella giungla che è Roma. Torno spesso a visitare Rino Gaetano, seguendo le parole delle canzoni con cui i fan hanno tappezzato il percorso, o la tomba a terra di Nino Manfredi, con fiori colorati e girandole, quella silenziosa e a malapena riconoscibile di Marcello Mastroianni e il mausoleo, rigoroso e imponente, di Aldo Fabrizi, con l’epitaffio che recita: “Fu tolto al mondo troppo al dente”.
“Almeno una volta al mese faccio un giro al Verano. È un museo a cielo aperto da percorrere a piedi o in bici, tra i luoghi dove riposano poeti, scrittori, musicisti, attori, registi”.
Anche la Città Universitaria, costruita nel 1935, in piena era fascista, su progetto dell’architetto razionalista Marcello Piacentini, è il luogo perfetto per vagabondare. Piacentini coinvolse nel suo programma urbanistico artisti come Arturo Martini e Mario Sironi e architetti giovanissimi che avrebbero fatto la storia, come Gio Ponti, Giovanni Michelucci e Giuseppe Pagano, nel segno della sperimentazione e ricerca architettonica più avanzata.
Nel quartiere giro sempre fra le strade e le piazze per cercare dettagli o posti mai visti, per conoscere le persone e le loro storie, così diverse, ricche e complesse, come in poche altre zone a Roma. Dal marmista che sta qui da sempre agli artisti come Giuseppe Gallo e Marco Tirelli che, dalla fine degli Anni Settanta, hanno iniziato ad abitare il Pastificio Cerere, trasformando una fabbrica di pasta in disuso in un grande centro della cultura contemporanea. Un luogo dove ha vissuto Francesca Woodman e dove ancora puoi trovare lo studio di Celestino, Ruffo, Petrucci e Myriam B, fino alla Fondazione Pastificio Cerere, uno spazio espositivo e di produzione artistica che si apre al quartiere. Di fronte al Pastificio c’è il Nuovo Cinema Palazzo. Solo negli ultimi mesi, ci ho visto Marcello Fonte raccontare la sua storia dopo la Palma d’Oro a Cannes, o Elio Germano e Teho Teardo, con una strepitosa interpretazione di Viaggio al termine della notte di Céline, o ancora il cineforum d’autore per bambini organizzato da Civico San Lorenzo. Faccio ancora pochi passi e trovo Matèria, una galleria dedicata alla sperimentazione e alla fotografia autoriale, da Fabio Barile a Mario Cresci. E infine i due luoghi in cui mi rifugio a scrivere – come sto facendo adesso: le librerie Giufà e Tomo che, con un progetto coraggioso e condiviso, sono presìdi essenziali per un quartiere in cui regna la dialettica tra linguaggi e registri opposti, differenze di interessi e generazioni, zone profonde di ombra e di luce.
Mi viene in mente una citazione del 1983 di Arturo Carlo Quintavalle: “Le strade, per gente che vive le sere isolata davanti al televisore, per gente che raramente si muove per un comizio o una sfilata, sono proprio il ritrovare degli spazi di esistenza collettiva, un modo insomma di essere insieme”. Ripartiamo da qui. Dalle strade.
‒ Emilia Giorgi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48
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