Il Giardino di Lipari: una realtà locale e internazionale creata da un artista sulle Isole Eolie
Si chiama Luca Cutrufelli e sei anni fa ha deciso di accostare alla propria attività artistica la progettazione e la creazione di un Garden Café nelle splendide Isole Eolie. Quella del Giardino di Lipari è una storia curiosa che ci ha raccontato in questa intervista
Luca Cutrufelli (Messina, 1982) ha affiancato alla carriera artistica una nuova sfida: quella di creare un Garden Café con una proposta originale di cibo, beverage and musica, che affonda le radici nel territorio aprendosi all’internazionalità.
IL GIARDINO DI LIPARI, IL BAR D’ARTISTA SULLE EOLIE
Da un terreno abbandonato nel centro storico di Lipari è nato così il Giardino di Lipari, un connubio di eleganza e semplicità che si avvale della capacità innovativa del proprio personale: oltre all’artista, che lo gestisce, c’è il giovane chef Raimondo di Cataldo, già visto all’Imàgo a Roma nel periodo in cui il ristorante ha guadagnato importanti riconoscimenti; alla drink list, i bartender Nicolò Verde e Alessio Affè, al lounge management Mario di Pietro e alla consolle il dj Crystal Bones. Diverse facce di una stessa identità di cui ci ha raccontato Cutrufelli stesso.
Come mai hai scelto Lipari?
Fin dall’inizio questo locale è stato per me una dichiarazione d’amore verso le Isole Eolie, per restituire tutta la bellezza vissuta durante le estati trascorse qui fin da bambino con la mia famiglia.
Come nasce il progetto?
Qualche anno fa ho scoperto questo giardino a Lipari, un agrumeto di mille metri quadri in totale stato di abbandono all’interno del centro storico. Ho pensato che quello che mancava sull’isola era proprio un bel locale di qualità, con food, drink e musica dal vivo. Così ho contattato il proprietario e ho deciso di fare questa pazzia! Tempo pochi mesi e ci siamo messi al lavoro, abbiamo il giardino (era una selva!) e da lì è iniziato tutto.
Raccontaci della parte del design di Giardino di Lipari.
Mi sono formato come ingegnere edile per il recupero, competenze che mi hanno aiutato, oltre alla pratica artistica: ho messo insieme pezzi di design, tra tavoli, sedie, arredamento; ho fatto rivestire il bancone del bar con delle mattonelle prodotte da un’azienda siciliana che si ispirano ai colori del mandarino, visto che nel Giardino ci sono circa 30 alberi di mandarini. C’è anche un equilibrio tra i pezzi di design e quelli di riuso: alcuni tavoli sono fatti con le bobine dei cavi della centrale elettrica di Lipari, alcuni divani sono fatti con i pallet, mentre i cuscini sopra sono realizzati con il tessuto che si usa in barca a vela. L’ispirazione è un po’ quella dell’estate italiana anni ’80!
In che modo convivono l’idea di attaccamento al territorio e l’apertura internazionale?
Su tutto che riguarda l’aspetto esterno, la drink list, il menù e anche la musica, ho voluto trovare un equilibrio tra una contaminazione internazionale e l’immagine siciliana ed eoliana. La linea della cucina è mediterranea ma rivisitata in chiave contemporanea in modo diverso ogni anno. Abbiamo anche la linea dei pokè, che abbiamo portato per primi in Sicilia, ma facendoli con ingredienti locali (ricciola, scorfano, gambero di Mazara, verdure del posto).
È incredibile come un’isola di piccole dimensioni riesca a fornire gran parte delle materie prime…
La gran parte dei nostri fornitori è di Lipari o siciliana. Anche nel bar facciamo tutto quello che possiamo con le materie prime locali: usiamo gli agrumi per fare i succhi, oppure i mandarini del nostro giardino. Io stesso ho piantato nel giardino la hierba buena, che qui non si trova, e che ci permette di fare il Mojito classico cubano. Il concept della drink list è quello di portare tutte le tradizioni del bere del mondo (Sudamerica, Asia, India e così via…). Abbiamo recuperato ricette storiche e distillati dai relativi luoghi di provenienza e lo stesso vale per il food e anche per la musica. Permetteremo ai nostri clienti di fare un viaggio di gusto attorno al mondo, ora che non si può più viaggiare come prima.
A proposito della musica…
Con il resident dj organizzeremo ogni volta una diversa serata a tema, lanciando contestualmente un drink del giorno.
In che modo la pandemia ha influito sul turismo? Com’è lo scenario di quest’anno?
Abbiamo avuto un grande calo del turismo internazionale. Ci sono molti più italiani, siciliani in particolare. Siamo partiti più tardi rispetto agli altri anni: solitamente a giugno lavoravamo molto con gli stranieri, mentre questa volta nessuno ha potuto andare in vacanza prima di luglio. Abbiamo un piccolo calo delle presenze, che speriamo di recuperare a agosto e settembre. Tutto sommato non ci lamentiamo, per quelli che erano i pronostici sarebbe potuta andare molto peggio.
Qual è il legame tra il Giardino di Lipari e la tua ricerca artistica?
Non c’è una connessione diretta con il locale, ci tengo a tenere le mie carriere separate. Il Giardino ovviamente corrisponde a una mia visione estetica personale, di armonia tra oggetti, colori e forme.
In quale momento hai deciso di mettere momentaneamente da parte il lavoro di artista per fare spazio a un progetto di food and beverage?
Erano tanti anni che mi dedicavo solo al lavoro artistico, avevo fatto le mie prime personali all’estero. Venivo un periodo di lavoro intensivo e volevo prendermi una pausa. Ho pensato così di accostare all’arte – un settore sempre instabile – qualcosa che mi permettesse di avere una serenità economica. Quando ho aperto, l’intenzione era anche quella di poter portare avanti una carriera artistica coerente e costante.
E come è andata?
All’inizio ho dedicato al locale più tempo del previsto, per ultimare tutti i lavori e perfezionare ogni dettaglio.
Quando non sei a Lipari vivi a Parigi. Come mai questi due luoghi tanto differenti?
È partito tutto da Manifesta12: in quel periodo avevo a Palermo uno studio con Ignazio Mortellaro. Abbiamo deciso di aprire uno spazio, Spazio Speciale (di cui ora non faccio più parte) che rientrava nella guida dell’evento. In quell’occasione ho potuto rincontrare delle persone legate alla scena artistica internazionale e ottenere nuovi contatti su Parigi, dove mi sono trasferito l’inverno dopo. Qui ho avuto l’occasione di fare studio visit con personaggi importanti e organizzare progetti che, a causa pandemia, verranno svolti prossimamente.
Quali persone?
Mi sento di citare in particolare Ingrid Pux. Era una curatrice molto importante a Parigi che purtroppo è mancata improvvisamente i primi di maggio. Nei mesi prima lei aveva visto i miei lavori e se n’era molto appassionata, incoraggiandomi molto e stupendomi molto per la sua dolcezza e umanità, cosa per me ormai rarissima in questo mondo. Quindi, se ho ripreso molta fiducia nel proseguire questo percorso, soprattutto a Parigi, è anche merito suo.
Come ha reagito il mondo dell’arte a questa tua decisione di aprire “un bar d’artista”?
Sono rimasto un po’ dispiaciuto dalle reazioni di colleghi e galleristi, che rimanevano contrariati quando gli annunciavo che avrei aperto un locale. Dicevano che un artista, per essere tale, si deve dedicare a tempo pieno al proprio lavoro. Anche negli anni successivi, quando ero alle fiere, mi guardavano un po’ storto. Non gli sembravo un artista “puro”; ad ogni modo ho preferito crearmi questa strada piuttosto che stringere “patti col diavolo” nei momenti di difficoltà come artista.
– Giulia Ronchi
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