È un evento diffuso che coinvolge diversi piccoli borghi della Tuscia la Biennale di Viterbo Arte Contemporanea, quest’anno intitolata alla bioetica, che dopo l’inaugurazione dello scorso 9 giugno proseguirà fino alla fine di ottobre. Il fulcro delle attività resta il capoluogo di provincia, ma oltre 12, in totale, sono le sedi espositive, dislocate tra Celleno, Vitorchiano, Tuscania, Sipicciano, Oriolo Romano, Graffignano e, per l’appunto, Viterbo, che per la prima volta mette a disposizione persino un luogo iconico della città – il monastero di Santa Rosa – per accogliere un’esposizione di arte contemporanea.
Sorta nell’area dei laghi vulcanici che caratterizzano il paesaggio dell’Alto Lazio, protetta a sud-est dai boscosi Monti Cimini, Viterbo è città di storia e cultura millenaria, centro a misura d’uomo che ha preservato una fitta rete di relazioni con le circostanti realtà rurali, in un territorio plasmato dagli incastellamenti del periodo medievale e rinascimentale, quando la Tuscia fu bacino di spartizione privilegiato per i casati assurti al soglio pontificio, Farnese su tutti. A poco più di 100 chilometri da Roma, la cittadina, con il suo impianto urbanistico antico ben conservato, è destinazione ideale per trascorrere un weekend nella storia, mentre si lavora per costruire un nuovo futuro al Complesso dell’Antico Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo, in disuso dagli Anni Settanta, che diventerà Borgo della Cultura grazie all’ingente contributo (14 milioni di euro) stanziato nell’ambito del piano strategico Grandi Progetti Beni Culturali 2021-2023. Si parte, intanto, dell’arte contemporanea rappresentata in Biennale per muovere alla scoperta di Viterbo e delle attrazioni che la circondano.
L’ITINERARIO NEL CENTRO DI VITERBO
La passeggiata nel ben conservato centro cittadino non può che iniziare dal Palazzo dei Papi, sul Complesso del Colle del Duomo, collegato all’abitato da un ponte in pietra. Qui, nel XIII secolo, i pontefici trasferirono temporaneamente la corte papale, per sfuggire ai pericoli di Roma (il palazzo ospitò Alessandro IV, scappato nel 1257 per l’ostilità del popolo e dei nobili romani guidati da Brancaleone degli Andalò). L’edificio adibito allo scopo risale al 1255: in stile romanico, è annunciato da una preziosa loggia in stile gotico, che fu completata solo un decennio più tardi. All’interno si scopre anche l’Aula del Conclave, che ospitò il conclave più lungo della storia tra il 1268 e il 1271. Accanto sta la Cattedrale di San Lorenzo, struttura romanica e facciata rinascimentale, unico stacco con gli edifici circostanti, tutti risalenti al periodo medievale, come il peculiare Palazzo di Valentino della Pagnotta, priore del tardo Medioevo. Ma è il quartiere San Pellegrino, con le sue case costruite sul tufo, a preservare l’immagine più autentica dell’epoca d’oro vissuta da Viterbo durante il Medioevo. Emblema ne è il Palazzo degli Alessandri, la famiglia più potente del tempo, affacciato sulla centrale piazza San Pellegrino. Tutt’intorno si stagliano torri e case-ponte. Ma la struttura più caratteristica dell’abitato è il profferlo, la scala esterna in pietra di cui erano dotate molte abitazioni dell’epoca. Al Medioevo risalgono anche le cinque fontane dalla tipica forma a fuso sopravvissute al tempo, da scovare tra piazze e vicoli del centro.
LA STORIA DI VITERBO AL PALAZZO DEI PRIORI
Monumento simbolo del potere civico di Viterbo, solo all’inizio del XVI secoli il palazzo divenne sede dei Priori che amministravano la città. Il percorso di visita permette di ammirare alcuni degli ambienti storici decorati all’epoca, come la Sala Regia con gli affreschi dei castelli che furono sotto il dominio di Viterbo e il ciclo di fine Cinquecento di Baldassarre Croce, la Sala dei Paesaggi e la Sala dell’Aurora, la Cappella Palatina affrescata nel Seicento, Ma anche il Museo dei Portici e le esposizioni temporanee ospitate dal complesso.
IL MUSEO NAZIONALE ETRUSCO ALLA ROCCA ALBORNOZ
Il primo nucleo della Rocca risale al XIV secolo, ma è all’inizio del Cinquecento che Bramante interviene per conto di Giulio II, ripensando la fortezza in chiave rinascimentale. Alla ricostruzione del Dopoguerra è seguita una nuova destinazione d’uso per l’edificio, ora museo della civiltà etrusca che raccoglie importanti reperti di centri etruschi diffusi nel territorio della Tuscia e ricostruzioni architettoniche di case arcaiche, con elementi in gran parte originali. Tra i pezzi più prestigiosi, la decorazione scultorea con il ciclo delle Muse in arrivo dal Teatro di Ferento, sito archeologico alle porte della città che vale una visita, per scoprire i resti dell’antico abitato sorto nel IV secolo a.C. Per completare il tour etrusco è consigliabile un giro tra le rupi tufacee di Castel d’Asso, nel luogo dove sorgeva l’Axia citata da Cicerone: all’inizio dell’Ottocento qui fu scoperta la prima necropoli rupestre etrusca, proprio alle porte di Viterbo, nella valle del torrente Freddano. Le tombe, distribuite su due o tre ordini, coprono un arco di tempo compreso tra il IV e il II secolo a.C.
L’ORTO BOTANICO E IL MUSEO ERBARIO DELLA TUSCIA
Inaugurato all’inizio degli Anni Novanta, l’orto botanico di Viterbo è gestito e curato dall’Università della Tuscia, in un’area di sei ettari a ovest del centro abitato, in corrispondenza della sorgente termale del Bulicame (in continuità con l’Orto, il parco termale si estende per altri nove ettari). Istituito con finalità didattiche, è oggi un sito visitabile, che ospita numerose “collezioni” vegetali, dalla macchia mediterranea alla vegetazione delle oasi africane o delle aree subtropicali dell’Australia e della foresta tropicale africana. C’è anche un giardino dei semplici, con piante medicinali che raccontano la storia degli antichi orti conventuali. Presso l’università si visita anche il Museo Erbario della Tuscia, che prosegue una consuetudine molto diffusa a cavallo tra XVII e XIX secolo, con l’intento di istituire una sorta di anagrafe delle specie vegetali, catalogandole essiccate a fini di studio e ricerca.
www.unitus.it/it/dipartimento/sma/musei-e-collezioni/articolo/museo-erbario-della-tuscia
SCOPRIRE IL CULTO DI SANTA ROSA AL MUSEO DEL SODALIZIO DEI FACCHINI
È un’immersione nella storia religiosa della città l’ingresso al museo ospitato presso la sede del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, in un edificio medievale del quartiere San Pellegrino. Al culto di Santa Rosa è legato uno dei rituali devozionali più spettacolari d’Italia, il trasporto della “macchina” ispirata al primo baldacchino di fine Seicento utilizzato per far sfilare la statua della santa per le strade della città, durante le celebrazioni del 3 settembre.
Il museo custodisce diversi modelli in scala di macchine costruite nel tempo, fino ad arrivare alle imponenti strutture novecentesche plasmate ad arte: dal ’67 in poi, abbandonata la caratteristica struttura a campanile, si inizia infatti a modellare la macchina come fosse una scultura di enormi dimensioni. La prima creazione fu dedicata al Volo degli Angeli, oggi il modello cambia con cadenza quinquennale. Al museo, fotografie d’epoca e filmati aiutano a calarsi nel clima dei giorni di festa, che coinvolgono l’intera città.
IL GIARDINO DI VILLA LANTE A BAGNAIA
Alle porte della città, la villa nacque come casino di caccia del cardinale Raffaele Riario, ma solo alla metà del Cinquecento, per volere del cardinale Francesco de Gambara, si inizia a realizzare il giardino rinascimentale che costituisce la vera attrazione del complesso, tra fontane, cascate, siepi, giochi d’acqua, nicchie e labirinti, la cui ideazione è attribuita a Jacopo Barozzi da Vignola, qui impegnato a valorizzare l’elemento acquatico. Il cardine di questo progetto decorativo, modulato sul gusto per la sorpresa e la bizzarria caro allo stile manierista (vedi Bomarzo), è la Fontana del Quadrato, composta da un triplice cerchio di vasche e sormontata da un gruppo scultoreo attribuito a Taddeo Landini.
www.polomusealelazio.beniculturali.it/index.php?it/243/villa-lante
TRA GLI ENIGMI DEL SACRO BOSCO DI BOMARZO
Progettato dall’architetto e antiquario Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini nel 1547, il Sacro Bosco di Bomarzo è un parco allestito secondo precise regole alchemiche, e improntato al sincretismo religioso. Ampiamente studiato e dibattuto è il programma erudito che ha portato alla disposizione delle grandi opere in pietra nel giardino delle meraviglie che Orsini volle dedicare a sua moglie scomparsa. L’itinerario per raggiungere la sommità del colle, dove sta il tempio che conclude il percorso, si snoda tra misteriose sculture scavate in blocchi di peperino, e congegnate con il gusto per il grottesco e il bizzarro tipico del Manierismo, tra figure mitologiche e mostruose, animali giganteschi, eroi omerici, divinità romane. Spicca, tra tutti, la casa inclinata, architettura impossibile che il visitatore è invitato a percorrere.
OPERA BOSCO: L’ARTE NELLA NATURA
Opera Bosco – Museo di Arte nella Natura è un laboratorio all’aperto di arte contemporanea, esteso per tre ettari di bosco all’interno del Parco Valle del Treja a Calcata. Le opere, fruibili attraverso un percorso che si snoda nel bosco, sono interamente realizzate con materiale naturale fornito dal territorio e vivono in simbiosi con l’ambiente e il paesaggio, per riflettere sul concetto di estetica dell’ecosistema. La collezione si è costituita nell’arco di quasi trent’anni, con il contributo di centinaia di artisti e in occasione di residenze che hanno coinvolto gli studenti delle Accademie di Belle Arti. Si organizzano anche seminari interdisciplinari, mostre e concerti su tematiche affini all’Arte nella Natura, nei tre teatri all’aperto e nello spazio documentazione ed espositivo Cave Cave nel centro storico di Calcata.
DOVE MANGIARE A VITERBO E NEI DINTORNI
In centro città, non distante da piazza delle Erbe, l’Osteria del Vecchio Orologio è un’attività storica che porta in tavola le produzioni più tipiche del territorio, valorizzando la rete di fornitori della Tuscia attraverso vecchie ricette della tradizione o intuizioni più moderne.
Non distante, l’aperitivo si consuma alla Bolla del Vecchio Orologio, bistrot della stessa proprietà.
A proposito di tipicità e cucina rurale, però, è d’obbligo la visita all’agriturismo Al Casaletto, una ventina di minuti d’auto a nord della città per godere di un’ospitalità familiare e di una tavola imbandita con cura e generosità. Anche la pizza, in alternativa a primi piatti della tradizione e carni alla brace, tiene alto il livello dell’offerta.
Destinazione rurale altrettanto consigliata è l’Orto di Hans, verso il cuore dei Monti Cimini. Una tenuta nata dall’incontro tra un architetto romano e un maestro di sci altoatesino, che porta in cucina traccia di questo insolito connubio. Partendo dai prodotti di produzione propria si approntano piatti tipici del territorio, ma anche specialità altoatesine.
https://alvecchioorologio.it/
https://www.ilcasaletto.it/menu/
https://www.lortodihans.com/
‒ Livia Montagnoli
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