Barbizon, il villaggio francese che ha dato il nome a una scuola di pittori
Ai margini della celebre foresta di Fontainebleau c’è il villaggio di Barbizon, che, a partire dall’Ottocento, accoglieva gli artisti decisi a immergersi nella natura fuori Parigi. Ma com’è Barbizon oggi? Ci siamo andati per raccontarvelo
Situata a un’ora a sud di Parigi, la Foresta di Fontainebleau ha ispirato a partire dai primi decenni del XIX secolo una moltitudine di artisti attratti dalle tonalità della luce e dalla varietà del paesaggio costituito da caos rocciosi circondati dal verde, da paludi e corsi d’acqua. I villaggi di Chailly-en-Bière, Bourron-Marlotte, ma soprattutto Barbizon, situato al margine occidentale della foresta, hanno dato ospitalità a una comunità di artisti che sono entrati nella storia dell’arte con il nome di una corrente pittorica precorritrice dell’Impressionismo. L’École de Barbizon (la definizione venne coniata del critico scozzese David Croal Thomson nel 1890) comprende in realtà una varietà di artisti dagli stili e dalle ispirazioni molto diverse fra di loro che a partire dal 1822, data del primo viaggio di Camille Corot a Barbizon, anelano a lasciare l’ambiente urbano parigino per dipingere a contatto con la natura, prediligendo scene rurali, spesso popolate da personaggi di umile origine.
Che cosa rimane oggi di quel villaggio citatissimo nella storia dell’arte? Siamo andati a Barbizon e abbiamo scoperto una località ovviamente molto diversa da quella dell’Ottocento, quando gli artisti si mescolavano a poveri contadini, boscaioli e allevatori di bestiame. Un paese fatto di ville, casette circondate dal verde con la rue Grande, la strada principale, dove affacciano gallerie d’arte, piccoli musei, residenze di artisti, ristoranti e bar affollati di parigini che nel fine settimana amano fare la gita fuori porta. Qualcosa che assomiglia un po’, come atmosfere, a una Place du Tertre rurale, ma più chic, senza il sovraffollamento di turisti e tutto sommato con più autenticità.
BARBIZON E LA FORESTA DI FONTAINEBLEAU
Quella che non è, apparentemente, cambiata è la foresta, in cui si entra percorrendo pochi passi a piedi dal villaggio. Nonostante venga visitata ogni anno da circa 15 milioni di persone (il 70% sono francesi), un numero che la pone al primo posto fra le destinazioni naturalistiche e nella top 5 in assoluto dei siti francesi, l’estensione (più di 22mila ettari) è talmente vasta che si può girare a lungo in assoluta solitudine. Per scoprire i luoghi più interessanti, soprattutto quelli legati a temi artistici, meglio affidarsi a una delle guide dell’Association des Amis de la Forêt de Fontainebleau. Sono dei volontari che collaborano con l’Office National des Forêts, l’ente governativo che gestisce il patrimonio forestale (consultare il sito per verificare la libertà di accesso: in caso di pericolo di incendio possono esserci divieti).
È Jean-Pierre Cojan, un ingegnere in pensione oggi attivo come guida della foresta di Fontainebleau, che ci chiarisce un primo aspetto fondamentale. “Ciò che vediamo attualmente sono paesaggi abbastanza diversi da quelli dipinti dagli artisti della Scuola di Barbizon: in circa 200 anni le piante sono cresciute enormemente, successivamente state fatte scelte di selvicoltura che hanno mutato in parte gli scenari”. Quelli che vedevano i pittori erano spesso ambienti più brulli e drammatici. Furono i re di Francia che cominciarono a piantare alberi a partire dal X secolo per fare di questa zona paludosa e spopolata una riserva di caccia. Un’area che per secoli è stata inaccessibile: nel periodo napoleonico vennero piantate querce, poi anche dei pini silvestri che però mal si adattavano a un terreno in alcune zone povero di acqua. La guida, tablet alla mano, si ferma in punti della foresta dove sono stati dipinti quadri famosi per farci apprezzare similitudini e divergenze. Il paesaggio è sorprendente. In quest’area della foresta prevalgono caos rocciosi che assumono le forme più strane e bizzarre. Massi spesso immortalati dai pittori: una delle rocce più famose ha le fattezze di un elefante, ma le forme zoomorfe sono innumerevoli. Il terreno è arido e sabbioso, l’ambiente ha una bellezza primordiale, si cammina su uno strato di sabbia simile a un fondo marino.
La sosta davanti alla lastra in bronzo scolpita da Henri Chapu nel 1884 con i volti di Théodore Rousseau e Jean-François Millet apposta su un masso in una radura della foresta ci riporta alla storia dell’arte. Un’iscrizione commemorativa del 1953 ricorda i cento anni da quando su iniziativa di Théodore Rousseau, il capofila di quella schiera di artisti che dipingevano sur le motif, fu istituita la Reserve artistique de la Forêt de Fontainebleau, primo esempio di azione a tutela dell’ambiente naturale. Non ancora un sentimento ecologico come lo intendiamo noi contemporanei, ma piuttosto una pulsione artistica per evitare il disboscamento della zona; indicativa di quella sensibilità romantica e del sincero legame con la natura che animava i Barbisonniers. Oggi la Foresta di Fontainebleau è riconosciuta come Riserva naturale della Biosfera dall’UNESCO.
I MUSEI DI BARBIZON
A Barbizon alcuni luoghi ricordano il periodo che ha reso il villaggio famoso nel mondo. Percorrendo la rue Grande si incontra il Musée des peintres de Barbizon, che ha trovato sistemazione in due edifici storici. Il primo è l’Auberge Ganne, la locanda dove furono ospitati molti artisti che risiedevano per lunghi periodi nel villaggio. L’arrivo della ferrovia nel 1849 rese molto più facile il viaggio da Parigi facendo crescere la comunità artistica che aveva bisogno di luoghi dove soggiornare, fare acquisti, incontrarsi. L’altro spazio che ospita il museo è la casa-atelier dove Théodore Rousseau visse gli ultimi vent’anni della sua vita. Nell’antica locanda si ammira anche un affresco su legno, opera collettiva di Théodore Rousseau, Narcisse Diaz, Celestin Nanteuil e Louis Godefroy Jadin.
L’altro famoso pittore che morì a Barbizon, dove visse per 26 anni, dal 1849 al 1875, è Jean-François Millet. In rue Grande c’è il piccolo museo privato a lui dedicato. Le opere dell’autore dell’Angelus e delle Spigolatrici sono conservate nei musei di tutto il mondo, qui non si scoprono opere originali se non qualche disegno e incisione. Ma c’è l’emozione di entrare nell’atelier dove il “pittore figlio di contadini e pittore di contadini” dipinse i suoi capolavori. Quello che Van Gogh riconosceva come un maestro: “Per me è grazie a Millet, pittore essenzialmente moderno, che l’orizzonte si è spalancato davanti a noi”.
IL CASTELLO DI FONTAINEBLEAU
Se si è in zona, impossibile mancare la visita anche al castello di Fontainebleau, che è indissolubilmente legato alla foresta. Capetingi, Valois, Borbone ne hanno fatto la loro dimora di caccia fino ad arrivare a Napoleone Bonaparte che la identificava come “la vraie demeure des rois, la maison des siècles“; e a Napoleone III, che ha mantenuto lo stretto legame fra i sovrani di Francia e il maniero a sud di Parigi. Nel castello sono nati Filippo il Bello e Luigi XIII; qui nel 1685 è stato revocato l’Editto di Nantes e Napoleone ha pronunciato il famoso discorso degli addii ai fedelissimi prima dell’esilio all’Elba. Una reggia nata mezzo secolo prima del Louvre e cinque secoli prima di Versailles, luogo preferito dei sovrani, con alcuni personaggi come Francesco I che hanno cambiato il volto della fortezza medioevale trasformandola in una dimora di piacere, affidando i lavori di decorazione ad artisti famosi: Rosso Fiorentino e Primaticcio fra gli altri. Inutile elencare i tesori artistici contenuti nelle millecinquecento stanze, piuttosto c’è da segnalare il recente completamento del restauro di uno dei capolavori del castello, la scala a ferro di cavallo commissionata nel 1632 da Luigi XIII all’architetto Jean Androuet du Cerceau e diventata poi un modello imitato in tutta Europa. Proprio il luogo entrato nella storia per le parole di addio pronunciate sui gradini dall’imperatore corso alla Vecchia Guardia.
‒ Dario Bragaglia
https://www.visitparisregion.com/fr/foret-de-fontainebleau
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