Le mostre da vedere a Copenhagen per la primavera e estate 2023

La capitale danese si conferma interessante meta culturale, con un’offerta museale di ampio respiro e una programmazione espositiva dall’ampio orizzonte temporale. Dall’Antico Egitto ai documentari di Jeremy Deller, passando per la pittura di Carl Bloch, un viaggio nella storia fra arte e politica

Fra gli artisti danesi più apprezzati dal pubblico per la sua perizia nella resa emotiva della scena, Carl Heinrich Bloch (Copenaghen, 1834 – 1890) subì poco dopo la sua scomparsa una sorta di damnatio memoriae da parte della critica che giudicò obsoleta la sua pittura, cancellandolo di fatto dall’anagrafe della storia dell’arte dei decenni successivi. Le nuove correnti artistiche, come l’Espressionismo e il Simbolismo, e le prime avvisaglie del Cubismo di Cézanne, facevano sembrare il suo realismo buono ormai soltanto per i libri di storia dell’arte. Fino al 29 maggio, lo Staten Museum for Kunst ospita Seduced, la più grande retrospettiva sull’artista da cento anni a questa parte, in 79 opere fra dipinti, incisioni e disegni.

COPENAGHEN RISCOPRE IL SUO ARTISTA CARL HEINRICH BLOCH

Cadetto mancato (il padre avrebbe voluto iscriverlo all’Accademia Navale), Bloch impose al genitore il suo amore per l’arte e dopo gli studi presso la Reale Accademia di Belle Arti di Copenaghen, già alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, ricevette le prime commissioni da parte del clero; tante, ancora oggi, le sue pale d’altare che ornano le chiese della capitale così come di altre città danesi, fra cui Odense e Ugerløse. Alla pittura religiosa affiancava, per gli acquirenti privati, scene della vita quotidiana contadina caratterizzate da un naturalismo non privo di sensibilità poetica dove il dato di natura è calato nel flusso emotivo quotidiano, fra seduzione, disgusto, allegria e malinconia. Ma lo stile di Bloch conobbe una svolta con il lungo soggiorno in Italia fra il 1859 e il 1866 che lo avvicinò alla pittura di gusto storico, allora molto in voga nel nostro Paese, ma soprattutto gli fece conoscere quelle atmosfere di pittoresca decadenza che avvolgevano i pigri e solari paesaggi del Centro-Sud, sfondo ideale per esistenze condotte sul filo di un chiassoso fatalismo. Bloch ferma sulla tela le vivaci atmosfere dell’Italia dell’epoca, che può essere sintetizzata nell’osteria romana, simbolo di delizie e di “perdizione”, fra gli sguardi allettanti delle donne, il brulicare delle mosche e una forchetta acuminata, quasi aggressiva. L’essenza della sua pittura sta nel trasferire a chi osserva le emozioni, buone o cattive che siano, che scaturiscono dalla scena. L’Italia lo avvicinò anche alla pittura mitologica. Fra le opere più significative sul tema, quel Prometeo liberato creduto a lungo perduto e ritrovato nel 2022 in un deposito della Galleria Nazionale Greca. Commissionato dal principe Vilhelm di Danimarca – che con il nome di Giorgio I sostituì Ottone sul trono nel 1863 – il quadro è un’allegoria della vittoria del popolo ellenico contro l’oppressore turco, simboleggiato dall’aquila cadente. Un pittore, Bloch, che per la sua vivacità è forse il più italiano dei danesi.

COPENAGHEN. LA SCENA CONTEMPORANEA

L’artista britannico Jeremy Deller è protagonista al Kunsthal Charlottenborg fino al 6 agosto con una mostra personale in collaborazione con CPH:DOX, festival internazionale del documentario di Copenaghen che si svolge in marzo al Museo. La mostra annovera anche diversi documentari di Deller, attento osservatore di tanti fenomeni collettivi contemporanei. Curata da Henriette Bretton-Meyer, l’esposizione abbraccia gli ultimi quindici anni della carriera dell’artista e indaga differenti aspetti della cultura britannica, attraverso film, fotografie, opere grafiche e installazioni scultoree. Con approccio ludico e teatrale, Deller racconta con una vena di umorismo la cultura inglese contemporanea, indagando le varie sfaccettature del concetto di comunità e i vari contesti di impegno civile e socializzazione. Dalle migliaia di fan accorsi per un concerto dei Depeche Mode, alla performance di massa We’re Here because We’re Here del 2016, che ha segnato il 100° anniversario della Battaglia della Somme creando un temporaneo memoriale vivente ai soldati caduti. In mostra anche il ciclo English Magic, che l’artista ha realizzato per il padiglione britannico a Venezia nel 2013, e Putin’s Happy (2019), che documenta gruppi di manifestanti davanti al Parlamento britannico a Londra, sia pro sia contro la Brexit. Lo sguardo di Deller, acritico ma partecipato, accompagna l’osservatore all’interno di una società composita, impegnata e disimpegnata insieme, che sta entrando nel Terzo Millennio. L’allestimento colorato e dinamico voluto dalla curatrice rende la mostra particolarmente piacevole, accentuando quel carattere di interazione che già l’artista cerca di ottenere con le sue opere.

Jeremy Deller, Putin’s Happy, 2019

Jeremy Deller, Putin’s Happy, 2019

ANCORA ARTE CONTEMPORANEA A COPENAGHEN

Al Cisternerne, l’ex bacino idrico della città oggi parte del complesso del Frederiksberg Museums, fino al 30 novembre è di scena Weaving the light, la monumentale installazione dell’artista sudcoreana Kimsooja, scelto dalla commissione del Museo per l’annuale programma di residenza che permette all’artista di creare un’opera site specific per questo particolare spazio sotterraneo riconvertito in incubatore dell’arte contemporanea, dove l’umidità è vicina al 100% e la temperatura oscilla tra 4 e 16 gradi Celsius. Il suo lavoro unisce l’estetica all’esperienza trascendente, indaga la natura dualistica ed esistenziale della filosofia come il rapporto fra Yin e Yang o il dualismo morte-vita. In questo caso, Weaving the light è un’installazione composta da varie pellicole reticolari di diffrazione montate su pannelli trasparenti, che lasciano passare la luce attraverso una superficie di prismi orizzontali e verticali; interrompendo con discrezione l’abituale oscurità del luogo, colonne di luce si irradiano sulle colonne come pennellate e si sfrangiano in raggi colorati e vibranti che si intrecciano fra loro interagendo con l’architettura circostante, rendendola un qualcosa di etereo. Onde di luce frantumano l’oscurità, istillando nel pubblico un fiabesco senso di meraviglia e insieme di sottile terrore; un viaggio nello spazio e nei recessi dell’inconscio umano.

Kimsooja, Weaving the light, 2023. Courtesy Frederiksberg Museums. Photo: Malthe Ivarsson

Kimsooja, Weaving the light, 2023. Courtesy Frederiksberg Museums. Photo: Malthe Ivarsson

AMARNA: GLI SPLENDORI DELL’ANTICO EGITTO ALLA NY CARLSGERG GLYPTOTEK

Fino al 18 giugno 2023 alla Ny Carlsberg Glyptotek, Amarna – City of the Sun God, ripercorre la storia della città egizia dedicata al dio Sole, la cui origine è dovuta alla riforma del faraone Akhenaton che abolì le antiche divinità animali e ordinò la sola adorazione di Aton, appunto dio del sole. Il nuovo culto portò a grandi sconvolgimenti sociali e, anche per ragioni di sicurezza, il sovrano decise di trasferirsi altrove: nacque così la città di Amarna, ricca di templi, residenze reali, quartieri urbani, opifici e necropoli. La sua epopea fu breve, perché a seguito della morte di Akhenaton, la città fu abbandonata e presto scomparve fra le sabbie del deserto. Adesso, la mostra ricostruisce quell’effimera magnificenza sia dal punto di vista dell’architettura e della vita quotidiana, sia dal punto di vista del culto che fu alla sua origine, attraverso una combinazione di reperti archeologici e ricostruzioni in scala di ambienti sacri e civili dell’epoca. Un coinvolgente filmato in 3D completa il viaggio nella suggestiva atmosfera della civiltà egizia. Cuore della mostra, gli antichi reperti in parte provenienti dalla ricca collezione della Glyptotek, in parte da prestigiosi musei esteri, fra cui il Metropolitan Museum of Art di New York. Dal granito, dalla terracotta e dall’arenaria prendono vita scene e figure tipiche realizzate secondo i canoni del cosiddetto “stile di Amarna”, una fase breve ma interessante all’interno della plurimillenaria arte egizia, che la mostra offre appunto l’occasione di apprezzare. Da uno stile ieratico e severo, si passò a un dinamico naturalismo non scevro di una certa emotività; ne è un esempio la raffinata figura femminile di Nefertiti incisa nell’arenaria, fra i primi ideali della Bellezza Antica. Una mostra che racconta l’alfa e l’omega di un capitolo meno noto, ma affascinante, della storia della Civiltà Egizia.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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