Fondata nel XIV secolo come capitale del Ducato di Masovia, a sua volta parte del Regno di Polonia, Varsavia è lo specchio di un Paese dalla storia complessa e spesso tragica, è la casa di un popolo volitivo che nei secoli ha saputo esprimere una cultura raffinata e sviluppare una sua coscienza civile. Eleganti architetture sette-ottocentesche caratterizzano ancora oggi il centro storico, in parte sopravvissuto alle distruzioni dell’ultima guerra, in parte abilmente ricostruite. La Città Vecchia ne è l’esempio più importante: accoglie edifici con belle facciate decorate e il Castello Reale, già fortezza trecentesca che l’ultimo sovrano Stanislao Augusto Poniatowski ingrandì e abbellì secondo sobri canoni neoclassici avvalendosi dell’architetto Domenico Merlini.
VARSAVIA. STORIA ARCHITETTONICA DI UNA CAPITALE
Ma tutta la zona nord del centro di Varsavia, compresa la Città Vecchia, fu minata dai tedeschi nel 1944, alla fine della Rivolta. Ricostruito in parte l’antico, il regime comunista vi aggiunse, a partire dal 1947, una serie di edifici, molti dei quali sono ancora in piedi, a cominciare dal Palazzo della Cultura e della Scienza (un centro culturale con teatri e musei): pur nel loro monotono razionalismo, o nella tronfia magniloquenza dell’architettura di propaganda, sono oggi in un certo senso “ammorbiditi” dalla vitalità della Varsavia contemporanea, e dal buon gusto dei nuovi grattacieli in vetrocemento che si vanno aggiungendo al profilo urbano. Parte della Varsavia antica sopravvive nella zona a sud della Aleje Jerozolimskie, perché qui sorgevano il quartier generale della Wehrmacht (oggi un albergo), la sede della Gestapo e vari uffici dell’amministrazione militare; ancora oggi vi sorgono splendidi palazzi neoclassici e Art Nouveau, oltre al Photoplasticon, probabilmente l’ultimo cosmorama sopravvissuto in Europa, dove è ancora in funzione il macchinario originale che proietta le fotografie della Varsavia di fine Ottocento; vale una visita sia per l’edifico in sé, sia per il materiale storico che custodisce.
VARSAVIA. I PARCHI
I parchi sono un altro tassello della bellezza di Varsavia: estesi e curati, piantumati con querce, betulle, salici, castagni, ippocastani, spesso impreziositi da fontane monumentali, sono delle oasi di relax in mezzo al dinamismo cittadino. Fra i più affascinanti, il Giardino Sassone, il Parco Krasiński, il Parco Łazienki, dove sorge la residenza estiva di Stanislao Augusto Poniatowski (oggi Museo), ancora nell’originale struttura neoclassica. Questo splendido parco, impreziosito da canali e laghetti artificiali, ospita ogni domenica da maggio a settembre, dal 1959, una rassegna di concerti gratuiti in cui pianisti da tutto il mondo interpretano le composizioni di Chopin, all’ombra del monumento al grande musicista.
IL CASTELLO REALE DI VARSAVIA
Il Castello Reale (Zamek Królewski), nella Città Vecchia, è il cuore della storia polacca: completamente distrutto nel ’45, fu ricostruito soltanto fra il 1971 e il 1984 a causa della scarsa propensione del regime comunista a riscoprire la storia polacca delle epoche precedenti. La struttura che ammiriamo oggi è il risultato di un attento recupero di tutti i frammenti originali ancora utilizzabili, combinati con ricostruzioni moderne: per questo, nelle mura, negli stucchi, nelle boiseries, persino nelle stoffe da parati, elementi originali sono completati dall’intervento di tanti artigiani che si prestarono anche a titolo gratuito pur di ridare vita a questo importante simbolo della loro storia, che riaprì al pubblico come museo nel 1984. La ricostruzione del Castello Reale può essere vista come lo specchio della ricostruzione della Polonia attraverso la determinazione del suo popolo.
Il Castello è un luogo simbolo della storia polacca perché qui, dal 1569 fino al 1795, anno della Terza Spartizione, si riuniva il Parlamento polacco; qui, il 3 maggio 1791, venne firmata la costituzione polacca, la seconda al mondo dopo quella statunitense, la prima in Europa a stabilire una monarchia costituzionale di stampo illuminista. Qui, infine, il sovrano Stanislao Augusto Poniatowski conservava la sua collezione di circa 3.500 opere d’arte, molte purtroppo rubate dai tedeschi subito dopo l’invasione e mai più ritrovate; altre sono state invece restituite o ricomprate nel tempo, mentre una parte fu nascosta e appunto salvata.
Il Castello conserva una profonda impronta italiana: molti dipinti della collezione reale furono realizzati da Marcello Bacciarelli, primo pittore della corte di Stanislao Augusto Poniatowski (fra questi, i ritratti dei sovrani polacchi), così come suoi erano gli affreschi dei vari saloni, purtroppo distrutti nel 1945 ma riprodotti negli anni Settanta sulla base dei suoi bozzetti. Uno dei pittori che si occupò di ripristinarli fu Janusz Strzałecki, che volle aggiungervi (con un certo rischio) un segno della resistenza polacca dell’epoca: uno dei soffitti affrescati conserva ancora oggi il ritratto di Lech Wałęsa, leader di Solidarność.
L’ITALIANO BERNARDO BELLOTTO A VARSAVIA
A Varsavia lavorò un altro italiano, Bernardo Bellotto (in Polonia conosciuto anche come Canaletto), nipote del più celebre Antonio Canal, e che si distingue dallo zio per uno stile più accurato nella rappresentazione del particolare, ma soprattutto per la propensione a immortalare la vita quotidiana della città, includendo anche il popolo con le sue miserie. Di Bellotto il Castello conserva 23 dipinti di scene di vita cittadina, dalle quali emerge una Varsavia molto più autentica della patinata Venezia del più celebre zio, ma soprattutto un profilo urbanistico che oggi non esiste più. Per capirne la ragione, è necessaria una visita al Warsaw Museum, che ripercorre la storia della città a partire dal 1945. Fino al 3 settembre la mostra Warsaw 1945–1949: Rising from Rubble racconta il sofferto periodo della ricostruzione dopo le devastazioni naziste: impressionanti fotografie e filmati d’archivio mostrano la desolazione di chilometri quadrati di macerie, raccontano come la popolazione si organizzò in squadre di lavoro per demolire gli edifici pericolanti e come da quei detriti ricavasse il gruzobeton, un cemento “di recupero” impiegato nella ricostruzione. Ma a destare le emozioni più forti sono i resti di quelle macerie catalogati dal museo, i mattoni degli edifici, persino i frammenti di piatti e vasi di porcellana sette-ottocentesca, recuperati fra le rovine e che raccontano un’intimità domestica andata distrutta. Eppure, come una Fenice, Varsavia è orgogliosamente rinata dalle sue ceneri.
IL DISTRETTO DI PRAGA A VARSAVIA
Sorto come villaggio campestre sulla sponda sinistra della Vistola, divenuto sobborgo industriale di Varsavia alla fine dell’Ottocento, il distretto di Praga è oggi la zona alternativa della città, cui un’errata percezione attribuisce carattere di zona malfamata. Niente di più falso; si tratta di un quartiere residenziale dai tanti volti, uno dei quali legato alla vita musicale e artistica alternativa (è il regno della street art), ma non per questo è una zona pericolosa. Al contrario, merita una visita perché è l’unica zona della città che non venne rasa al suolo dai nazisti in ritirata, perché già nell’estate del 1944 era stata occupata dall’Armata Rossa. Disseminato di parchi e aree verdi, botteghe artigiane, vintage e gallerie d’arte, Praga ospita anche il Neon Museum, in un bell’edificio ex industriale che fu un tempo fabbrica di munizioni e poi di scooter: merita una visita per la sua collezione di oltre 200 insegne luminose che, fra gli anni ’60 e ’80, furono installate in città per segnalare negozi, caffè, ristoranti, e attività commerciali varie. Oltre a essere importanti pezzi di design, hanno anche un significato sociale: il loro apparire rallegrò l’atmosfera della Varsavia comunista immersa nel grigiore, e creò nella gente la sensazione di poter, in un certo senso, “assaporare” il benessere capitalista. Un’illusione creata ad arte dall’amministrazione dell’epoca, che non sortì i frutti sperati. Una visita al Museo è quindi utile per meglio comprendere la storia recente della città. Nonostante le apparenze, il quartiere non ha relazioni con la Repubblica Ceca; poiché sorse in un’area forestale disboscata con il fuoco, deriva appunto il nome dal verbo disboscare, “prażyć”, poi con il tempo divenuto Praga.
VARSAVIA. UN ITINERARIO DELLA MEMORIA
La storia di Varsavia, come quella della Polonia tutta, negli ultimi due secoli è stata una storia di resistenza. Dalle varie ribellioni dell’Ottocento contro Austria, Prussia e Russia, alla lotta armata contro l’occupazione nazista, fino alla resistenza civile degli anni 1945-1989. In quest’ottica, una visita a Varsavia sarebbe quasi un dovere morale per i cittadini dell’Europa Occidentale, perché i militari polacchi hanno combattuto al fianco degli eserciti alleati per liberare l’Europa dal nazifascismo. Visitando la Tomba del Milite Ignoto nello splendido Giardino Sassone, si leggono i nomi di tutte le battaglie della storia polacca: molti sono familiari, fra cui Ancona, Bologna, Salerno e Monte Cassino; ma i militari polacchi combatterono anche in Francia, Olanda, Germania e Nord Africa. Però, questo enorme tributo di sangue fu ignorato dai governi Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti quando, nel primissimo Dopoguerra, per ragioni di equilibrio politico, la Polonia è stata ceduta all’influenza sovietica. La sofferenza di quei decenni la si può ancora percepire in città, nei vari monumenti ai Caduti, così come in quelli agli Insorti del Ghetto (1943) o ai Caduti della Rivolta di Varsavia (1944), alle vittime della repressione nazista prima e comunista poi, e al movimento Solidarność. Quello che desta ammirazione è che, pur nel corso di vicende storiche non semplici, la Polonia è stata capace di dar vita a una fiorente cultura nazionale, testimoniata dai monumenti a Chopin (il cui cuore è ancora oggi conservato nella Basilica della Santa Croce), Mickiewicz, Osiecka, Sienkiewicz, Prus, eccetera; tutta Varsavia è una sorta di Pantheon che tiene viva la loro memoria. Percorrendo questo ideale itinerario fra storia e cultura, si ricostruisce la grandezza del popolo polacco, e si comprende quella sottile aura di tristezza che ancora oggi, in parte, ammanta la città.
IL NATIONAL MUSEUM IN WARSAW
Tempio dell’arte polacca è il National Museum in Warsaw, che fino al 10 settembre ospita una toccante mostra sulle scultrici polacche della seconda metà dell’Ottocento, artiste talentuose che però subirono le forti limitazioni imposte dalla mentalità patriarcale della società dell’epoca, per la quale la scultura non era ritenuta adatta alle donne, sia perché richiedeva un certo sforzo fisico, sia perché spesso presupponeva corpi nudi (un’ipocrisia, perché anche la pittura li presuppone nella stessa misura). La mostra Corsets Off. Camille Claudel and Polish Women Sculptors of the 19th Century documenta come il movimento delle scultrici polacche (fra cui Tola Certowicz, Natalia Andriolli, Maria Gerson) sia nato negli anni Ottanta dell’Ottocento, fra mille pregiudizi che le giovani artiste seppero sfidare, cominciando ad approcciare la scultura di ritratto, patriottica o religiosa. Il percorso della mostra è suddiviso in sezioni ognuna dedicata a uno specifico tema, e addentrandosi fra le sculture è come se ascoltassimo una sorta di narrazione solidale al femminile, come se ogni colpo di scalpello per modellare il marmo fosse un colpo assestato contro il muro di prevaricazioni che l’ottusa società maschilista opponeva alle donne. A incoraggiarle sulla strada del nudo e della mitologia fu l’esempio di Camille Claudel (scultrice francese allieva e poi amante di Rodin), la cui opera molte artiste polacche conobbero durante soggiorni di studio a Parigi. La mostra offre però un punto di vista particolarmente toccante, perché accomuna la lotta delle scultrici polacche a quella, umanamente più dura, che la talentuosa Camille Claudel dovette sostenere in vita: ostracizzata dalla famiglia, fu infine internata in un istituto di igiene mentale dal 1913 al 1943, anno della scomparsa. Guardando alla mostra in prospettiva storica, le vicende artistiche e umane di queste donne coraggiose sembrano rispecchiare le vicende della stessa Polonia, un Paese dalla romantica natura femminile, mai stanco di lottare senza risparmiarsi.
Niccolò Lucarelli
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