All’inizio del febbraio 1916, Zurigo battezzava le attività del nascente Cabaret Voltaire: esperienza breve – il cabaret-laboratorio di Spiegelgasse resterà in vita solo per cinque mesi (in un primo momento ne raccoglierà l’eredità la Galerie Dada, in Bahnhofstrasse numero 19) – ma intensa, condensata in un locale d’intrattenimento con intenzioni artistiche e politiche alternative, fondato dal regista teatrale Hugo Ball con Emmy Hennings. Meglio noto per essere stato culla del Dadaismo, luogo di aggregazione di giovani artisti e intellettuali in fuga dagli orrori della Prima Guerra Mondiale, cui la Svizzera stava assistendo in posizione neutrale, come “una gabbietta per gli uccellini circondata da leoni ruggenti”, ebbe a dire Ball.
Zurigo, il Cabaret Voltaire e il Dadaismo
Dunque, il Cabaret Voltaire accolse rifugiati e obiettori di coscienza, e Zurigo fu terreno fertile perché maturassero istanze moderne e rivoluzionarie, non necessariamente rispondenti a un piano predefinito, e anzi provocatorie e dissacranti, caotiche e brutali. Erano gli albori fiammeggianti di un movimento di rottura e rinnovamento delle logiche tradizionali dell’arte, di un’avanguardia che sul palco del Cabaret vide esibirsi tra gli altri Tristan Tzara, Hans Arp, Marcel Janco, in un alternarsi di performance, danze, musica, letture poetiche, mostre di artisti sperimentali (destinati a lasciare il segno, da Klee a Kandinsky ed Ernst), volte a presentare la cultura e le arti come un programma di “varietà”. Il 14 luglio del 1916 vedeva la luce in questo contesto il primo manifesto Dada; presto il movimento diventò un fenomeno internazionale, e già nel ’17 il Cabaret Voltaire aveva perso il suo ruolo propulsore. All’inizio degli Anni Duemila, un gruppo di Neodadaisti occupò per qualche mese il palazzo di Spiegelgasse per riaccendere la scintilla Dada: oggi il Cabaret, opportunamente restaurato, organizza mostre, eventi, letture, vanta una biblioteca Dada e un bookshop. E nel 2016 Zurigo ha onorato con molteplici iniziative il centenario di un’esperienza tanto significativa per la storia dell’arte europea e globale.
Ma non è certo la rievocazione nostalgica la miglior qualità di una città che negli ultimi trent’anni ha saputo investire su trasformazioni urbanistiche e riqualificazioni architettoniche per diventare una capitale attraente, soprattutto per le nuove generazioni che raggiungono Zurigo – polo tecnologico e universitario all’avanguardia – per formazione e ricerca, e finiscono per stabilirvisi definitivamente. Tra modelli residenziali innovativi fondati sulla cura del bene comune, spazi culturali indipendenti, musei pubblici e privati (se ne contano una sessantina, su un’estensione territoriale di circa 90 chilometri quadrati: una densità “museale” decisamente confortante per una superficie di poco inferiore a quella di Firenze) e un vivace sistema di gallerie di arte contemporanea, Zurigo è efficiente e vitale, più volte insignita del titolo di “città con la miglior qualità di vita al mondo” (fonte Mercer). Ha contribuito la sua posizione geografica, con l’abitato storico – l’antica Turicum che i Romani strapparono ai Celti – che si distende sulle sponde settentrionali dell’omonimo lago, estensione naturale della vita cittadina: il sistema dell’acqua che attraversa e lambisce la città è navigabile e balneabile, valorizzato da parchi, giardini, pedane e arredi urbani; in primavera ed estate è un tripudio di spiagge urbane, sport acquatici, pause pranzo con i piedi nell’acqua, barbecue al tramonto sul lago, attività all’aria aperta.
La città che cambia. Da Zürich West al fermento dei nuovi quartieri
Proprio una piacevole passeggiata lungo il fiume, a ovest del parco Platzspitz, dove le acque del Limmat incontrano quelle del Sihl, conduce al quartiere di Zürich West, distretto dell’arte nato sulle ceneri di un’area industriale prospicente la ferrovia, un tempo adibita alla fabbricazione di navi e locomotive. Tra gli Anni Settanta e Ottanta molte delle fabbriche locali subirono la crisi dell’industria pesante, chiudendo battenti; e già dalla metà degli Ottanta alcune gallerie d’arte pioniere stabilirono negli edifici abbandonati la propria sede. L’intervento del City Building Council, volto a scoraggiare la speculazione edilizia, avrebbe contribuito in seguito alla crescita di un sistema integrato di musei, spazi pubblici, attività commerciali e ricettive, fondato sulla pianificazione cooperativa. Sono nati così il centro culturale Schiffbau, dal recupero dell’edificio in mattoni dove si fabbricavano i battelli per il lago, e nel 2014 la sede distaccata presso il Toni-Areal del Museum für Gestaltung (Museo del Design, oggi articolato in tre sedi: la centrale nell’edificio modernista Anni Trenta di Adolf Steger e Karl Egender, in Ausstellungsstrasse). Emblema di questo processo, tra la fine degli Anni Novanta e i Duemila è l’apertura della Löwenbräu Areal: la riqualificazione del birrificio dismesso della Löwenbräu, costata due anni di lavori – inizialmente finanziati da privati, poi sposati dall’amministrazione cittadina – è stata completata nel 1996 su progetto dello studio Gigon/Guyer et WW. Oggi lo spazio espositivo Löwenbräukunst, inaugurato nel 2012, riunisce la Kunsthalle, il Museo Migros per l’arte contemporanea, la Luma Foundation, numerose gallerie (da Hauser&Wirth a Francesca Pia e Gregor Staiger), l’editore d’arte JRP, una caffetteria e un bistrot vegano. Con l’intuizione di far dialogare, sotto uno stesso tetto, musei e gallerie, in una città che – vedremo tra poco – piace molto al mercato dell’arte: se il numero delle gallerie (svizzere e internazionali) è andato crescendo esponenzialmente a partire dagli Anni Novanta, già durante la Seconda guerra mondiale molti mercanti d’arte si rifugiarono a Zurigo, vivacizzando la piazza locale e avviando una tradizione destinata a rinnovarsi nei decenni a seguire.
Sempre nel distretto di Zürich West è nato nel 2021 il LichtHalle MAAG, primo museo permanente di arti immersive in Svizzera; mentre la riqualificazione del viadotto ferroviario di fine Ottocento che taglia l’area si apprezza curiosando tra negozi di design, boutique, ristorantini, torrefazioni e atelier che hanno trovato spazio sotto le 38 arcate dell’infrastruttura, ribattezzata Im Viadukt, dov’è anche un moderno mercato gastronomico. Non distante si segnala la torre di container colorati (si può visitare) di Freitag, brand nato a Zurigo e oggi celebre in tutto il mondo, grazie all’idea di riciclare tessuti industriali e camere d’aria di biciclette per creare borse e accessori.
Incubatore di startup creative, la città è anche attrattore di grandi società internazionali, come Google, che ha stabilito i suoi uffici nel moderno quartiere di Europaallee, ulteriore esempio di lungimirante progettazione urbanistica, nell’area che dalla stazione centrale si sviluppa verso Langstrasse (ex quartiere a luci rosse della città), correndo lungo i binari, in un’alternanza di concept store, laboratori di design, edifici progettati da noti studi di architettura.
Musei e gallerie a Zurigo
Del resto, investire in opere pubbliche, privilegiando il settore culturale, è una strategia intrapresa a largo spettro in città. E a beneficiarne è anche il sistema museale, in un contesto nazionale che – accanto alla valorizzazione della ricerca e della didattica, e allo sviluppo di programmi di inclusione – persegue il continuo adeguamento degli edifici atti a ospitare le collezioni d’arte. Casi di scuola, che poggiano sull’intervento di affermati studi di architettura, sono a Zurigo il LandesMuseum e la Kunsthaus. Il primo, Museo Nazionale svizzero, nasce alla fine dell’Ottocento nell’edificio in stile eclettico progettato da Gustav Gull, che all’epoca fonde elementi mutuati dall’architettura medievale con suggestioni coeve; data invece al 2016 l’ampliamento affidato agli architetti svizzeri Christ & Gantenbein, per ospitare nuovi spazi espositivi, una biblioteca e un auditorium nel padiglione dalle linee spezzate contraddistinto da aperture a forma di oblò, che crea un ricercato contrasto con l’edificio originale, proiettando la struttura verso il Limmat.
Più suggestiva è l’evoluzione della Kunsthaus, che nel 2021 ha raddoppiato i suoi spazi con l’ampliamento firmato da David Chipperfield, diventando il museo d’arte più grande della Svizzera. Il parallelepipedo creato dal progettista inglese fronteggia l’edificio storico di inizio Novecento progettato da Karl Moser su Heimplatz, collegato alla nuova ala da una galleria che corre sotterranea. Il più antico istituto d’arte svizzero si è costituito per volontà di artisti e mecenati e grazie all’ultima “estensione” ha modo di esporre a rotazione il 20% della sua collezione permanente, che annovera i capolavori impressionisti della collezione Bührle, ma anche la più grande collezione di Munch al di fuori della Norvegia, e la più vasta esposizione di opere di Alberto Giacometti al mondo. In un arco temporale che spazia dai maestri medievali e rinascimentali all’arte contemporanea, passando dal Romanticismo alla Pop Art. Soprattutto grazie alle donazioni, il patrimonio del museo cresce ogni anno. E dal 2016 l’ala Chipperfield accoglie anche la foresta di pixel (Turicum Pixelwald) di Pipilotti Rist, installazione ambientale rimasta a testimoniare la personale Your Saliva is my Diving Suit in the Ocean of Pain dell’artista svizzera (sua anche la colorata Tastende Lichter che movimenta la piazza), e diventata una delle principali attrazioni del museo.
Già prima dell’ampliamento, la presenza della Kunsthaus ha determinato il concentrarsi di un distretto dell’arte rappresentato dall’immagine del “miglio delle gallerie”, articolato lungo Rämistrasse, arteria che dal quartiere universitario scende verso il centro città, lambendo Heimplatz. Oggi è qui che si concentrano realtà storiche come la svizzera Mai 36 o filiali di gallerie internazionali come Hauser & Wirth, arrivata più di recente. E ancora Ziegler, Peter Kilchmann, Maria Bernheim, lange + pult, Haas Zürich.
Vivere Zurigo, tra arte pubblica ed esperimenti residenziali di comunità
Per godere del rapporto che quotidianamente la città intrattiene con l’arte, però, è sufficiente esplorare Zurigo in cerca delle oltre 1.300 opere di public art dislocate tra vie, piazze, parchi urbani, selezionate e collocate sotto la supervisione della commissione KiöR (Kunst im öffentlichen Raum). Si scoprirà così, sulle sponde del lago, la grande macchina cinetica realizzata da Jean Tinguely in occasione dell’Expo di Losanna, nel 1964 (Heureka), azionata due volte al giorno; non distante lo Sheep Piece (1972) di Henry Moore. O la Nana di Niki di Saint Phalle che giganteggia alla stazione dei treni. E ancora la Pavillon-Skulptur (1938) di Max Bill in Bahnhofstrasse, il monumento al lavoro (1952-1957) di Karl Geiser collocato in Helvetiaplatz, l’enorme fionda-altalena (Y, 2011) di Sisley Xhafa a Zürich West. Sul tetto dello Zurich SBB, a Europaallee, invece, l’installazione Always a Way di Brigitte Kowanzsvetta dal 2021.
All’avanguardia nella sperimentazione di nuove forme di socialità urbana, Zurigo è anche una delle capitali internazionali dall’abitare condiviso. Con l’idea di contrastare la gentrificazione e l’alienazione sociale, ma anche di ridurre l’impatto ambientale dell’abitare, negli ultimi trent’anni le cooperative d’abitazione della città si sono evolute verso modelli sempre più solidali, efficienti ed ecologici, favoriti da una progettazione architettonica ad hoc e da un’organizzazione di spazi e ruoli che alimenta la quotidianità di comunità urbane autogestite. C’è dietro il ricordo delle utopie abitative ottocentesche, come pure la spinta del movimento cooperativistico sorto nel passaggio al XX secolo, ma lo sguardo è rivolto al futuro, con una forte propensione all’innovazione, che interessa l’evoluzione degli stili di vita, la rigenerazione urbanistica, il perfezionamento di nuove soluzioni abitative (come gli appartamenti cluster, con spazi semi-privati e comuni accanto a spazi privati), commerciali, di condivisione dello spazio pubblico. Ne è esempio la cooperativa Kalkbreite, che nel 2014 ha inaugurato il suo primo complesso, e più di recente ha raddoppiato con il progetto Zollhaus, non solo agglomerato residenziale, ma anche distretto commerciale, spazio creativo e culturale, con progetti di comunità aperti alla città (laboratori di design, co-working, cucine che sostengono i produttori locali, attività artigianali, aree espositive). Analogamente ha lavorato nella periferia dell’Hunzikerareal, a nord della città, la cooperativa Mehr Als Wohnen, per creare un nuovo quartiere orientato al vivere e lavorare secondo criteri ecologici e sociali.
Livia Montagnoli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #74
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