C’è una città che sembra una nave attraccata in mezzo a un bosco. Vista dall’alto se ne apprezza il disegno, che è di cristallino nitore, si vede bene come la linea esterna delle case si irrigidisca per diventare cinta muraria. Sembrano villini a schiera d’inizio Novecento ed è invece una follia barocca voluta da una delle donne più influenti del secolo: donna Olimpia Pamphilj (Viterbo, 1591 – San Martino al Cimino, 1657).
La storia di donna Olimpia Pamphilij
Era una viterbese e proveniva da una famiglia come tante: i Maidalchini. Dopo varie peripezie (tradizione vuole che per liberarsi dalla segregazione in convento avesse accusato un sacerdote di molestie sessuali), la ragazza sposò un uomo molto ricco che morì poco dopo il matrimonio. Diventata una vedova ambita, Olimpia andò a Roma e riuscì a farsi accettare dall’aristocrazia della capitale, sposando un Pamphilj. Pamphilio era anziano, ma aveva il pregio di essere fratello di un cardinale ambizioso: Giovanni Battista.
Olimpia Pamphilij e Piazza Navona
Complice Pasquino, Olimpia non ha lasciato un buon ricordo, ma è un fatto che Roma debba a questa provinciale una delle sue meraviglie: Piazza Navona. A magnificare il periferico Campo in Agone, l’area antistante palazzo Pamphilj, fu proprio “La Pimpaccia de Piazza Navona”, anche nota come “papessa” o “Olim pia” per “olim pia, nunc impia” (un tempo Pia, ora empia).
La progettazione di San Martino al Cimino
Dopo aver lungamente tiranneggiato Roma, Olimpia cadde in disgrazia e si ritirò nei suoi possedimenti viterbesi. In Tuscia fabbricò un’utopia attorno all’antica abbazia cistercense di San Martino. Affidò a Marc’Antonio de Rossi, un architetto militare, la progettazione urbanistica e trasformò il fatiscente convento in un palazzo regale, anzi principesco, perché quella porzione di montagna era un principato. Ne è venuta fuori una perla incastonata nel massiccio Cimino, battezzata San Martino al Cimino. A due passi dal lago di Vico questo gioiello ha forma di nave, anzi di piazza Navona. Il versante verso Viterbo è rettilineo e ricalca l’area verso Corso Vittorio, mentre il versante opposto riprende l’andamento semicircolare in direzione di Campo Marzio.
Olimpia rientrò in patria da principessa e al comando di una città capace di ricordare al mondo, e ai posteri, chi ne era l’autrice e cosa aveva fatto. A tal fine ordinò a Francesco Borromini disegni per la nuova facciata dell’abbazia e per le porte urbiche.
Il rapporto tra Olimpia Pamphilij e Gian Lorenzo Bernini
Quando si osservino le mura di San Martino piegarsi, come schiacciate da una morsa invisibile, si avverte la forza di una donna, alla quale si inchinarono i geni del secolo. Gian Lorenzo Bernini, forse, tentò di ingraziarsela inserendo nel modello della Fontana dei Fiumi una palma e un leone, emblema della città natale della cognata del papa. Vero è che, secondo i maligni, all’esito del concorso non fu estranea la scelta di donare a donna Olimpia quel modello, realizzato in argento massiccio. Impossibile dire, ma è certo che se Bernini vinse quell’appalto parte del merito è di Olimpia, e gliene siamo grati.
Bernini conosceva bene le viterbesi, era stato amante di Costanza Piccolomini, moglie di un suo assistente, e poi l’aveva fatta sfregiare e imprigionare. Costanza fu riconosciuta colpevole di avere avuto una relazione con il fratello di Gian Lorenzo e fu punita, ma tenne duro. Uscita dal carcere tornò con il marito, Matteo Bonarelli, rimase vedova e divenne madre. Si era intanto reinventata mercante d’arte e morì a Viterbo nel 1662, cinque anni dopo Olimpia.
Erano donne incredibili: di Costanza si conserva un celebre busto berniniano (1637 circa), purtroppo sembra invece perduto il ritratto firmato da Diego Velásquez di Olimpia (la versione ritrovata non è neppure paragonabile al contemporaneo Ritratto di Innocenzo X, 1650, e ci sono dubbi sulla sua autenticità). Resta però la città che creò dal nulla, un evento eccezionale seppure non unico.
San Martino al Cimino e le altre “città ideali”
In Italia abbiamo almeno altre due città ideali: Pienza per il XV Secolo e Sabbioneta per il XVI Secolo. Dal punto di vista squisitamente urbanistico non hanno forse lo stesso fascino di San Martino al Cimino, tuttavia entrambe, e giustamente, sono patrimonio Unesco.
San Martino al Cimino è meno conosciuta delle sue sorelle, forse paga lo scotto di essere frazione di Viterbo, città inviluppata in una narrazione medievaleggiante. D’altra parte, neppure i Farnese, che pure sono nati qui, a Viterbo hanno meritato di essere ricordati con una piazza o un vicolo. Se ne è quasi persa memoria e una delle cause di questo oblio è, ancora una volta, riconducibile a donna Olimpia.
Olimpia Pamphilij e la Seconda Guerra di Castro
Volendo dare un ducato ai propri discendenti, la terribile Pamphilj è stata tra le promotrici della Seconda Guerra di Castro (1646-1649). I Farnese, che avevano resistito ai Barberini, si arresero alla ferocia di un esercito che rase al suolo Castro. I profughi si dispersero nell’Alto Lazio e del ducato perduto rimane memoria nei toponimi di Ischia, Grotte o Montalto.
Come il secolo che contribuì a plasmare, la principessa fu incontro di luci abbaglianti e tenebre profondissime. Morì nel suo piccolo regno e ancora riposa nella magnifica abbazia di San Martino.
Antonio Rocca
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