Un ritratto di Barletta, città che ama le sfide (e le disfide)
Un racconto intimo quello che il teorico e critico del design Marco Petroni fa di Barletta, accompagnato dalle fotografie di Fabio Barile. Prosegue con la città pugliese il Giro d’Italia in parole ed immagini a cura di Emilia Giorgi
Barletta rappresenta, nella mia geografia, un luogo prevalentemente legato alle estati della mia infanzia e dell’adolescenza. Una sostanza sottile, una pellicola invisibile mi connette con questa cittadina vicina a Canosa di Puglia, il paese di nascita di mio padre.
Ricordi di Barletta
Io sono nato a Galatina, in Salento, dove ho vissuto fino ai 18 anni per poi iniziare un percorso nomade che mi ha portato a Bologna, Milano, New York, Amsterdam e ora a Napoli.
Le estati iniziavano con un viaggio di tutta la famiglia su una Ford Escort grigia. Eravamo in sei, mio padre alla guida, sul sedile accanto mia madre, con in braccio la mia sorellina piccola, nel sedile posteriore io, mio fratello maggiore e l’altra mia sorella. Una famiglia italiana del Sud pronta per una lunga permanenza, da giugno a fine settembre.
Dal Salento alla BAT, dal sud al nord della Puglia. Un cerchio sfocato di puntini da connettere: parenti, amici, luoghi, ricordi. Figure avvolte nel movimento di ricostruzione della memoria, dove visivo e olfattivo si confondono. Attorno al Castello di Barletta si addensano i pomeriggi assolati, le corse all’ombra degli alberi nei viali dei giardini pubblici. Fanciulli e fanciulle in festa, urlanti. Il mio accento salentino strideva con il suono dell’idioma barlettano.
Barletta e le sue estati
Fughe, zoom in controluce nel vivo dei ricordi. Il sale della vicina Margherita di Savoia e la sabbia del litorale barlettano con il porto commerciale dove, di tanto in tanto, mio padre mi portava a pescare. Erano le estati dei mondiali di calcio del 1978 in Argentina e del 1982 in Spagna, ai piedi le Mecap, un brand locale di sneakers, credo che non esista più. Non avevo il tempo di comprendere i cambiamenti intorno, nella città di Barletta. Ascoltavo i commenti a tavola, si citavano famiglie che si arricchivano investendo nel tessile o nella logistica. Il mio corpo, da un anno all’altro, cambiava veloce.
E nell’estate, esplodeva in tutta la sua crescita. In spiaggia, i miei occhi fissavano i particolari: il costume fluo di un amico dell’anno precedente, le alghe sul fianco di una ragazzina. I muscoli tesi di chi giocava a calcio sotto il sole, le caviglie sporche di sabbia, il fuoco del barbecue, l’odore del pesce acquistato dai pescherecci al rientro nel porto. Tutto si ricompone.
arletta è vicino a Molfetta come cantavano, sulla base di New York, New York, Renzo Arbore e Lino Banfi alias Pasquale Zagaria, amico del mio papà che non c’è più.
Barletta, i suoi protagonisti, le sue immagini
Da sempre, Barletta ama le sfide e le disfide. Ci sono tornato anche in anni recenti per osservare le sue aperture sull’arte contemporanea grazie alla caparbia Giusy Caroppo che, come affermava Achille Bonito Oliva con il suo noto spirito guascone: “È la curatrice più brava e famosa… di Barletta”. Ma i ricordi, la memoria è più forte delle mostre nel fossato del Castello o dei fascinosi dipinti della gloria barlettana Giuseppe De Nittis, ospitati nella Pinacoteca di Palazzo Della Marra con il suo severo bugnato.
Barletta è il suo mare, è le mie estati invase di nuove amicizie, di corse, fughe nelle ore bestiali della calura meridionale. Il porto, il mare, la spiaggia decentrata e i casermoni popolari, le serrande abbassate lungo strade deserte alla controra. I motorini allineati sui marciapiedi parcheggiati di traverso, ciascuno con i loro adesivi: El Charro, Timberland, Best Company, Levi’s, e poi le scritte sul serbatoio di un Ciao, di un Bravo o di una Vespa “… ti amo”.
Il mare e i muri di quei casermoni, sotto il sole rovente sono vita e morte che si urlano contro.
Non c’era niente da fare a Barletta per chi non ci viveva. Vista da fuori era desolante. Per me era la gioia dell’estate, della luce, dei pomeriggi senza fine. I cartelli ritorti agli svincoli e al rientro, l’immancabile segnale: TUTTE LE DIREZIONI.
Marco Petroni
A cura di Emilia Giorgi
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