Una notte nel convento di Le Corbusier: l’esperienza che non ti aspetteresti
Nel convento de La Tourette, nei pressi di Lione, si può dormire in un’architettura di Le Corbusier, mangiare con i monaci e perdersi nel silenzio del cemento. Vi raccontiamo la storia dell’edificio e l’esperienza unica di pernottarci

Non è solo un convento. Non è solo un’opera di Le Corbusier (La Chaux-de-Fonds, 1887-Roquebrune-Cap-Martin, 1965). La Tourette è uno di quei luoghi in cui l’architettura non si limita a definire uno spazio, ma ne determina il tempo, il respiro, la percezione stessa della realtà.
La storia del convento de La Tourette di Le Corbusier: cemento, luce e contemplazione
Quando nel 1952 il Capitolo Provinciale dei Domenicani di Lione chiese a Le Corbusier di progettare un luogo per la preghiera e lo studio, la Francia stava ancora facendo i conti con la guerra e con la modernità. L’architetto svizzero-francese accettò la sfida, consapevole di dover tradurre in forme concrete le esigenze di una vita monastica. Nel 1959 i monaci si stabilirono nel complesso, un edificio austero, costruito su un pendio e sorretto da pilotis esili ma solidi. A prima vista, La Tourette può sembrare ostile. Il cemento grezzo, il rigore geometrico, la sua posizione isolata evocano un senso di distanza, quasi di resistenza. Ma è un’impressione che svanisce varcando la soglia. La luce entra negli spazi con un’intelligenza che non è solo tecnica, ma quasi spirituale. Qui tutto è calibrato, misurato, pensato per esaltare il tempo della contemplazione. Le aperture, progettate con la precisione matematica di Iannis Xenakis, non sono semplici finestre: sono strumenti di un dialogo costante tra l’interno e l’esterno, tra l’individuo e il mondo.

Il rilancio de La Tourette: dall’eredità monastica a rifugio per viaggiatori
Oggi La Tourette non è più solo un convento. La progressiva diminuzione delle vocazioni ha spinto i monaci ad aprire le celle a studiosi, artisti, architetti e viaggiatori in cerca di silenzio. La routine quotidiana è scandita dalla preghiera del mattino e dai vespri, ma anche dai pasti condivisi nel refettorio, in un rito che mescola discrezione e comunione. Qui, tra gli ospiti, si incontrano giovani studenti e vecchi professori, appassionati di architettura e anime in cerca di quiete. Si parla a bassa voce, ci si scambia sguardi più che parole, ci si perde nell’osservazione dei volumi, delle ombre che mutano con il passare delle ore. Le Corbusier aveva appena terminato la cappella di Notre-Dame-du-Haut a Ronchamp e la città di Chandigarh, in India, quando progettò questo edificio. La Tourette ne raccoglie l’eredità: la razionalità assoluta dell’una, la libertà plastica dell’altra. Le finestre del convento, pensate per garantire ventilazione, sono figlie delle sperimentazioni indiane. I suoi camini, dalle forme scultoree, sembrano dialogare con quelli della cappella francese. Eppure, La Tourette è altro.












Dormire a La Tourette: l’esperienza
È un’architettura che non concede nulla all’estetica fine a sé stessa, vista dall’esterno in modo veloce e furtivo che rifiuta l’ornamento, ma che riesce comunque a emozionare se vista e vissuta dall’interno, lentamente e in punta di piedi. Quando sono arrivato, alla reception mi hanno chiesto se fosse la mia prima volta. Ora capisco il perché: La Tourette è un’esperienza che si sedimenta. Non colpisce con immediatezza, ma si insinua lentamente, lasciando tracce che difficilmente si cancellano. Chi viene qui spesso torna. Forse per ritrovare un luogo, forse per ritrovare se stesso.
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Francesco Fornaciari
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