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Si sente spesso parlare della necessità di “destagionalizzare” il turismo. Nel caso di quello culturale, il termine può assumere anche un’altra valenza: quella di provare ad ampliare la ‘stagione’ storica e artistica per cui una città o un territorio sono famosi, facendo conoscere ai visitatori anche le tracce che vi hanno lasciato altre epoche. L’esempio classico in questo senso è Firenze – che non è solo Rinascimento – come sa benissimo il viaggiatore avvertito, ma meno ne sono consapevoli i turisti “mordi e fuggi”. Nel caso di Genova, a dominare l’immaginario collettivo è il “secolo dei genovesi”, quell’epoca di straordinaria potenza commerciale e, soprattutto, finanziaria della città che portò, tra Cinque e Seicento, a una formidabile fioritura culturale e artistica, illustrata negli ultimi anni da una serie di importanti iniziative, a cominciare dai noti “Rolli Days”. La Superba fu tuttavia protagonista della storia d’Europa e del Mediterraneo già nei lunghi secoli del Medioevo: lo sappiamo bene fin dalle elementari, quando il suo nome figura nel mitico quartetto delle Repubbliche Marinare. Eppure lo scolaro divenuto adulto ha qualche remora ad andare a esperire sul posto le testimonianze di questa grandezza appresa sui banchi di scuola, forse temendo che di quei secoli sia rimasto ben poco, in una città il cui aspetto è stato notevolmente segnato dalle successive fasi di sviluppo, nel Seicento, nell’Ottocento e anche in epoca contemporanea. C’è del vero: Genova è una città fortemente stratificata, ma in questa stratificazione – che contribuisce non poco al suo fascino – il Medioevo c’è, eccome. Allo scopo di far conoscere a cittadini e forestieri questa lunga e fondamentale stagione dello sviluppo della città, l’amministrazione comunale genovese ha consacrato al tema Genova nel Medioevomolteplici iniziative che si sono svolte nel corso del 2024, da convegni e presentazioni di libri, ad aperture di siti e visite guidate, alla tre giorni di Janua dall’11 al 13 ottobre, alla riapertura parziale dell’illustre Museo di Sant’Agostino.
I luoghi del Medioevo di Genova
I luoghi in cui è ancora possibile ‘immergersi’ nel Medioevo genovese sono tanti: da innumerevoli scorci nelle vie e nei caruggi, alle piazze (Piazza San Matteo in primis), alle chiese (la Cattedrale, naturalmente, con l’annesso Museo del Tesoro, scrigno di pezzi di oreficeria stupefacenti; ma anche, tra le altre, San Donato e Santa Maria di Castello, sorprendentemente ricca, come l’adiacente convento, di opere medievali e non solo). Nei paragrafi che seguono, però, si concentra l’attenzione su due musei e in particolare su due monumenti che ben esemplificano il posto importante che Genova ricopre nella storia della scultura del Tardo Medioevo e il ruolo fondamentale che la pietra e soprattutto il marmo cavato nella non lontana Carrara hanno nella produzione artistica genovese.
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Genova città di marmo: il Museo di Sant’Agostino
Il notevole sviluppo urbanistico di Genova tra Otto e Novecento ha comportato la distruzione di tante chiese, conventi, strutture difensive di età medievale. In molti casi, tuttavia, le parti più pregevoli dei complessi in via di abbattimento sono state salvate, talora ricostruendole (più o meno) in situ, come nel caso dello splendido chiostro di Sant’Andrea nei pressi di Porta Soprana, più spesso ricoverandole in quello straordinario scrigno della ‘Genova che fu’ che è il Museo di Sant’Agostino. In attesa di poter pervenire a una sua completa riapertura, che necessita di un complesso e oneroso intervento di ristrutturazione e adeguamento, si è scelto di rendere accessibile al pubblico il bellissimo chiostro triangolare e la vasta chiesa gotica di Sant’Agostino, trasformata in spazio espositivo delle più significative sculture medievali del museo. Capitelli, stemmi, rilievi, lastre tombali, statue sono esposti in maniera suggestiva, con un adeguato apparato di informazioni che intende illustrare ai visitatori un materiale non facile (provenendo, come si diceva, i pezzi da tanti contesti diversi, per la maggior parte scomparsi). Culmine del percorso espositivo, nonché della scultura medievale italiana, e opera tra le più dibattute della storia dell’arte per lo stato fortemente lacunoso in cui ci è giunta, è la Margherita di Brabante sorretta da due diaconi di Giovanni Pisano (1313-1314), allestita nell’abside assieme ai pochi altri frammenti superstiti del monumento sepolcrale della moglie dell’imperatore Arrigo VII, già nella distrutta chiesa di San Francesco di Castelletto (come ricorda un video che, opportunamente distanziato dal capolavoro, ne ricostruisce le tormentate vicende). In questa collocazione il gruppo statuario è ben fruibile; talora la luce che filtra dalle vetrate colorate fa assumere al marmo un colore rosa che non è proprio il massimo.
La ritrovata tomba Fieschi al Museo Diocesano di Genova
Un insieme di sculture ben più nutrito è invece quanto ci è giunto di un altro insigne monumento sepolcrale, quello del cardinale Luca Fieschi, realizzato tra il quarto e il quinto decennio del Trecento e originariamente innalzato nella cattedrale di San Lorenzo. Un grande lavoro di ricerca e il restauro dei 124 frammenti della grandiosa tomba hanno portato alla sua ricomposizione all’interno del Museo Diocesano, a pochi passi dalla cattedrale: il risultato di questa impresa può essere ammirato a due diverse altezze, da terra e da un ballatoio ad alcuni metri di altezza che consente di leggere meglio la struttura architettonica del sepolcro e di osservare più in dettaglio le sculture della parte sommitale del monumento. Grazie al lavoro di studio e alla ricomposizione che ne è scaturita (inaugurata nell’aprile del 2024) un complesso scultoreo tra i più notevoli dell’arte gotica in Italia può essere ora fruito in una maniera assai più corretta e coinvolgente, che rende giustizia all’importanza dell’opera.
Fabrizio Federici
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