
Dalla collina del Collegio alla Querce la vista sul Duomo è senza pari. Il nome stesso è un omaggio ai maestosi alberi secolari che ancora oggi osservano attenti i terrazzamenti. Questa dimora cinquecentesca, affacciata sul cuore di Firenze, è stata luogo di sapere e ispirazione per oltre un secolo, accogliendo generazioni di studiosi. Da poco più di un mese, la proprietà – della catena Auberge Resorts Collection – è diventata un hotel da 83 camere, una cappella e un teatro originali, due ristoranti e un bar, situato proprio in quello che un tempo era l’ufficio del preside. A curare la ristrutturazione, lo studio di architettura spagnolo Esteva i Esteva, mentre il team fiorentino ArchFlorence ha firmato gli interni, oltre che gli spazi dedicati alla ristorazione e al bar. Ne abbiamo parlato con il General Manager, Lorenzo Maraviglia.

La storia dell’hotel Collegio alla Querce
La storia inizia da lontano: quali sono le origini di questo complesso?
L’edificio venne fondato nel 1868 dai Padri Barnabiti, come estensione del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, ospitando generazioni di studenti e contando su una prestigiosa biblioteca con oltre 70mila documenti. Nel 1870, al suo interno, è stato istituito un osservatorio geodinamico, contribuendo a ricerche scientifiche di rilievo grazie all’opera di studiosi come il barnabita Timoteo Bertelli.
E poi?
Dopo la chiusura del collegio nel 2003, la struttura ha vissuto un lungo periodo di abbandono. Fino a quando, dieci anni dopo, Leeu Collection ha acquisito la villa e ha intrapreso un meticoloso progetto di recupero. Ci siamo trovati di fronte a un complesso affascinante ma bisognoso di un attento restauro per riportarlo al suo splendore, preservandone l’autenticità storica e valorizzando l’architettura e l’anima originaria.
Che ruolo ha avuto nella vita culturale ed educativa della città, prima della sua trasformazione?
Fondamentale. Offriva un’istruzione di alto livello, con un forte accento sulla formazione umanistica e scientifica. Era frequentato da studenti provenienti da famiglie aristocratiche e borghesi, non solo fiorentine ma anche di altre parti d’Italia e dell’estero. Oltre alla funzione educativa, il collegio ha avuto un impatto culturale rilevante: la struttura ospitava eventi accademici, conferenze e attività artistiche, contribuendo alla vita intellettuale della città.
Nel corso degli anni, ci sono state trasformazioni o cambi di destinazione d’uso?
Assolutamente. Nel 1520, Michelangelo Buonarroti progettò l’Oratorio di Santa Maria della Querce, un luogo di culto nato in seguito a un evento miracoloso, che divenne un punto di riferimento spirituale per la comunità. Nel 1774 invece, il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena trasformò la villa in una residenza di campagna, ampliandola con serre, rimesse e scuderie. Successivamente, nel 1850, Girolamo Pagliano intervenne sulla struttura, sopraelevando la villa di due piani e collegandola alla Casa del Giardiniere.
Con l’arrivo dei Padri Barnabiti, invece, la proprietà assunse la sua vocazione educativa, diventando un collegio all’avanguardia per l’epoca.
Esattamente: furono introdotti spazi innovativi, tra cui un osservatorio astronomico, una collezione naturalistica e un osservatorio geodinamico che contribuì allo sviluppo della sismologia.
E nel XX Secolo?
Durante il XX Secolo, il complesso continuò a evolversi: furono realizzate un’infermeria panoramica nel 1927 e una palestra coperta, ma la Seconda Guerra Mondiale causò ingenti danni alla struttura. Negli Anni ’50 si procedette alla ricostruzione e all’ampliamento di alcune parti del complesso, mantenendo intatta la sua impronta architettonica.







Il progetto del nuovo hotel Collegio alla Querce
Nel nuovo progetto, come avete mantenuto gli elementi originali, integrandone l’identità storica?
La riqualificazione ha posto grande attenzione alla conservazione degli elementi architettonici originali, integrandoli nel nuovo progetto per mantenere l’identità storica del complesso. Gli edifici del XVI Secolo, tra cui una cappella con pavimenti in marmo originale e soffitti scolpiti e un teatro con elementi lignei originali, sono stati recuperati rispettando materiali e tecniche costruttive dell’epoca. I giardini barocchi terrazzati, che si estendono su quattro livelli, sono stati ripristinati dall’architetto paesaggista Francesca Watson, con particolare cura nella scelta delle essenze vegetali storiche e nella ricostruzione delle geometrie originali.
Avete in mente iniziative particolari per connettere i fiorentini a questa nuova realtà?
La cappella e il teatro saranno dedicati a ospitare eventi speciali, concerti, spettacoli e manifestazioni culturali. Stiamo già lavorando al programma. L’obiettivo è quello di creare un ponte con la comunità, coinvolgendo non solo la città e il vicinato.
Come hanno risposto gli ex alunni a questa riconversione in struttura alberghiera?
Quest’evento ha suscitato un’ondata di entusiasmo tra residenti ed ex alunni, testimoniando un legame profondo. Molti lo intendono non solo come un luogo di apprendimento, ma un pilastro identitario. L’attesa per la riapertura è stata tangibile, con discussioni animate in tutto il paese.
Ci sono spazi espressamente dedicati alla memoria storica che raccontano il passato?
Sono stati allestiti percorsi espositivi e aree dedicate che valorizzano documenti d’archivio, fotografie storiche e testimonianze sulla vita del Collegio nei secoli.
Pensando alla sostenibilità e al design, avete adottato delle soluzioni particolari per integrarvi in armonia col paesaggio?
Sono state adottate tecnologie ecosostenibili per migliorare l’efficienza energetica, come sistemi di illuminazione a basso consumo, soluzioni per il recupero delle acque piovane e materiali naturali e locali che rispettano l’ambiente e l’identità storica della struttura.
Quali sono le opportunità offerte da questa location per i futuri ospiti?
Osservare Firenze da una prospettiva diversa e “staccata” permette senz’altro di vivere la città in modo autentico e contemplativo. In un contesto in cui il centro storico è spesso affollato dal turismo di massa, avere uno spazio che offre quiete e una visione più riflessiva della città diventa un valore aggiunto. La vedo come un’opportunità.
Ginevra Barbetti
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