I tentativi di Alessandro Scarabello tornano in mostra a Roma
Una continua e incessante ricerca intorno all’atto del dipingere dove nessuna forma autonoma è mai sbagliata se rimane esclusivamente ciò che è. Enfatizzando talvolta la figura umana, talvolta le forme del simbolo e dell’archetipo
Una pratica pittorica fatta di tentativi – tra figurazione e astrazione – quella di Alessandro Scarabello (Roma, 1979. Vive tra Bruxelles e l’Italia). Un paradosso che però riesce a trasformare l’errore in una possibilità. Nella consapevolezza che l’opera d’arte possa subire in ogni momento del processo un’inattesa trasformazione. Un’opera cede sempre all’altra ciò che non può avere, in netto contrasto con la corrente classicista che sostiene che il metodo può diventare una garanzia sull’estetica finale, o magari sul suo controllo. La deriva, invece, innesca un meccanismo incontrollabile che punta a sradicare soprattutto il rapporto gerarchico che l’artista potrebbe instaurare con la sua opera. Non a caso Scarabello si approccia all’arte un po’ per curiosità verso il disegno e in parte a seguito di un attento studio dell’Ottocento italiano durante un apprendistato.
La mostra di Alessandro Scarabello a Roma
Restless Picture da The Gallery Apart ci restituisce esattamente la consapevolezza di una trasformazione perpetua: un’atmosfera ridotta nella forma e nel colore allo stato crudo di tutti gli elementi.
Da una frustrazione personale egli arriva ad esprimere ciò voleva: ripartire da zero. L’immagine dipinta dopo un continuo disfacimento passa ad una nuova genesi, è qui il tentativo estremo di tenerla continuamente in vita. “Dipingere”, spiega l’artista, “è un istinto che lascia traccia attraverso le immagini, ed è essenziale come l’istinto di camminare. L’utilizzo di innumerevoli medium artistici è come l’utilizzo di innumerevoli mezzi di locomozione, nonostante tutto continuiamo a camminare”.
I tentativi in pittura di Alessandro Scarabello
Tentativi ripetuti, i suoi, che rappresentano proprio l’arte nel suo farsi, nell’atto stesso del dipingere geometrie, riquadri intermittenti e colori acidati. La campitura diventa così il sistema nervoso dell’esperienza pittorica stessa: arte in divenire, forza. L’identità spersonalizzata, istintiva e consapevole, senza forme e limiti imposti dalla realtà, abbandona la verosimiglianza e lascia spazio alla deformazione. La comunicazione si riduce all’immobilità. Lo sconfinamento spaziale oltrepassa la superficie del quadro e realtà e finzione continuano a dialogare dialetticamente. Soprattutto ora.
Michele Luca Nero
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