I paesaggi di Antonio Miccichè in mostra alle Officine Bellotti, nuovo centro d’arte a Palermo
Un tempo storica cartoleria e tipografia nel cuore di Palermo, le Officine Bellotti riaprono come nuovo centro per le arti e la cultura. Antonio Miccichè presenta qui disegni, acquerelli e piccole sculture

C’è un’eco malinconica, un guizzo sottile d’emotività, nella rigorosa scansione ritmica con cui Antonio Miccichè (San Giuseppe Jato, Palermo – 1966) risolve il grande spazio al primo piano delle Officine Bellotti, nuovo centro per le arti e la cultura inaugurato nel cuore di Palermo, su iniziativa di Lucio Garau, Manuela Plaja e Rossella Giordano, motivati e coraggiosi operatori culturali cittadini. Sessantatré disegni trovano posto sulle pareti di due enormi sale espositive dal sapore industriale, in quella che per decenni era stata l’imponente sede dell’ormai scomparsa ditta De Magistris-Bellotti. Miccichè costruisce un teatro nitido, lineare, intitolato all’idea di sequenza e di finestra, di lenta osservazione e di cammino, accostando a intervalli regolari questi minuscoli lavori su carta, appuntati al centro di eleganti cornici, simili nelle dimensioni ma diverse per colore e tipologia, secondo poche variazioni ripetute: una maniera per rompere la lunga sequenza dell’allestimento, in un gioco intelligente tra monotonia e rumore, ripetizione e differenza. E così scorrono frammenti di paesaggi come memorie appese, quasi immagini di una pellicola intima o polaroid appena scattate. Sono riflessi del reale, capaci di descrivere con esattezza ma anche di aprirsi all’immaginazione, superando la mimesi in favore di divagazioni tutte mentali, proiettate verso l’astrazione.
















Antonio Miccichè e la serie “Stagioni di caccia” a Palermo
Il tema del nostos domina questa serie che dà il titolo alla mostra curata da Sergio Troisi: Stagioni di Caccia è un viaggio nella terra delle origini, là dove il ritorno è stato dolorosa contingenza e dolce riscoperta, dedizione familiare e recupero di un tempo domestico, interiore. Miccichè torna a San Cipirrello, in provincia di Palermo, nel 2022. Prende un congedo straordinario dalla scuola di Torino in cui insegna, per stare vicino all’anziano padre nell’ultima fase della sua vita, poi per sostenere la madre dopo il lutto. Giorni, mesi tutti uguali, di tenerezza, isolamento e fatica, interrompendo il legame con quel Nord che era diventato casa, professione, routine, orizzonte visivo. Ed è qui, nella sua Sicilia, che nasce questo lavoro fatto di niente, di matite, acquerelli, piccoli fogli. Il disegno diventava esercizio quotidiano di libertà e di sopravvivenza, un rito ininterrotto di cui il padre segue gli sviluppi; un modo per scandire il tempo dell’accudimento e insieme dare corpo e respiro a un sentimento della nostalgia coltivato per anni, qui tradotto nelle vibrazioni minime del segno e del colore, nelle forme evanescenti, nei pigmenti fluidi, nella luce dell’isola catturata fra campagne, coste, vallate, strade provinciali, tramonti, montagne dalle curve docili, rocce, stazioni di servizio, campiture di mare in lontananza. Decine di appunti rapidi, collezionati andando “a caccia” di immagini e di suggestioni: lo sguardo oltre il finestrino, le passeggiate, fermarsi al di qua di un vetro, contare passi, nuvole, arbusti, decifrare la gamma cromatica dell’ennesimo crepuscolo, di ogni nuova alba. Una ginnastica retinica, ma anche spirituale. Una stagione di sguardi ritrovati.

I diari di Miccichè alle Officine Bellotti di Palermo
È invece dedicata a Venezia, città in cui Miccichè ha insegnato dal 2012 al 2016, la serie esposta al pianterreno dal titolo Diario d’inverno. Disegni a matita, stavolta senza colore. Gradienti di grigio su fogli A4, fotografando in punta di grafite scorci di Laguna – moli deserti, canali, briccole, panchine vuote, ombrelloni chiusi lungo lidi disabitati – e poi ambienti di vita vissuta, come aule scolastiche o dettagli di interni; e ancora piste di aeroporti e vedute sul mare, concedendo qualche spazio anche a Palermo, dove tornava ogni tanto durante le ferie invernali. Il taglio è frontale, sempre, e la luce è algida, intuibile nella gestione dei chiaroscuri delicati. La stessa luce dei cieli piatti e umidi del Veneto nella stagione fredda.
Ed è una specie di diario anche l’altra serie esposta in questa sezione, pochi metri più in là. Si intitola Days Hospital ed è la cronaca di una permanenza coatta, durante il lockdown: era il marzo del 2020 e – come tanti italiani in trasferta – Miccichè tornava qualche giorno a casa, nel suo paese, restandovi bloccato per l’improvvisa chiusura nazionale. In questo stato di congelamento surreale disegna ospedali, sale di pronto soccorso, anonimi angoli di cliniche e infermerie. Ancora bianco e nero, ancora spazi dormienti, ancora un senso ovattato e prolungato d’attesa.








Antonio Micciché e i teatrini in miniatura nei magazzini Bellotti
L’ultimo lavoro, realizzato ad hoc (Senza titolo, 2025), è allestito con maestria negli ex magazzini, di cui il restauro ha preservato l’aspetto e il sapore originale. Ambientazione perfetta per installazioni site-specific che possano leggerne storia, memoria antropologica e natura architettonica. Qui, tra le vecchie scaffalature, un tempo destinate a imballi di merci per la cartoleria e la tipografia, Antonio Miccichè installa dei teatrini svelati da piccolissime luci puntate, come fari per set cinematografici in miniatura. Le sculturine bianche in terracotta e Das emergono dal buio, raccontando istanti di solitudine e raccoglimento, in continuità ideale con l’attigua serie Days Hospital: uomini, letti, pareti nude, in un dialogo muto. Tra le immaginarie stanze spoglie si avverte un senso vago di morte, ma anche d’ascolto e di cura. Tutto è sereno, composto, nonostante l’illuminazione gelida e il sentimento tragico che sopraggiunge. Una forma di quiete che risolve il dolore nella sospensione, forse nell’accettazione, certamente nella capacità d’osservare e contemplare.

Lo spunto arriva da un leitmotif che ha accompagnato la produzione dell’artista negli anni: l’immagine dei letti, bianchi sepolcri organizzati in file regolari nello spazio, viene introdotta già nel 1999 e poi declinata in varie forme, anche con l’introduzione di opere video, tra Palermo, Berlino, Stoccarda, fino all’installazione del 2009 Aprile è il mese più crudele, titolo ispirato alla Terra desolata di T. S.Eliot. Così stanno lì ad osservare i muri, i piccoli protagonisti di queste scene metafisiche, congelate in uno spazio-tempo senza definizione. In piedi o seduti fissano il vuoto, mentre un’ombra d’infinito giunge da quei letti apparecchiati come metafore, tra la fitta penombra e le pennellate di luce teatrale. Il paesaggio resta fuori, oltre finestre invisibili da cui forse quella luce filtra, enfatizzata dal gesto pittorico e dall’intenzione scenica. Paesaggi pieni d’affetto, di tepore e di colore, custoditi nelle fredde stagioni d’inverno, tra la legge del distacco e il rifugio della nostalgia.
Helga Marsala
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